Lo definisce ‘ecosistemico’ lo sguardo del suo ultimo libro, Paolo Bartolini. “Nel limite dei possibili. Pensiero critico e realismo visionario” (edito da Meltemi), infatti, riflette su alcuni dei principali temi dell’attualità, individuandone le matrici culturali e il sotteso filosofico, da un lato, e sforzandosi di costruire le numerose relazioni che fatti, eventi e fenomeni dell’attualità hanno tra di essi. Uno sguardo che vuole essere quello dell’intellettuale alle prese con il delicato passaggio epocale che stiamo vivendo: dall’ipermodernità all’era complessa. Per affrontarlo, scrive Bartolini (che è analista biografico a orientamento filosofico), è necessario evitare “i voli pindarici di un pensiero scollegato dalla realtà, ma anche l’impotenza depressiva a cui ci hanno consegnato i fallimenti novecenteschi delle rivoluzioni “socialiste” e la vertigine delle trionfanti logiche neoliberiste” (pp. 11-12). A tale scopo, per Bartolini, è necessario muoversi ‘nel limite dei possibili’, appunto. Considerare il limite una possibilità, il diverso un’occasione, creando reti ecologiche (e non egologiche) tra le singolarità di chi si avventura nella costruzione di senso del Reale. Solo così sarà possibile evitare gli “estremi scivolosi dell’accelerazionismo cyber/transumanista e di un comunitarismo fuori tempo massimo”; opponendosi a questo – ma anche ad altri sterili bipolarismi – “una visione e delle pratiche centrate sulla relazione, sulla tessitura di legami che liberano proprio mentre uniscono” (p. 56).
Su tale assunto di base si muove l’intero volume, che prende in esame diversi aspetti particolarmente significativi dell’attuale scenario sociale, spingendo sempre a coniugare spiritualità e politica (intesa, quest’ultima, nel senso più alto del termine). Diversi gli obiettivi critici del testo, anche se Bartolini li affronta sempre con equilibrio e grazia espositiva. È il caso, ad esempio, della retorica neoliberista, “che da più di quarant’anni ci induce a considerare la nostra vita come una piccola azienda da condurre al successo, assilla giovani e meno giovani facendoli sentire sbagliati, inadeguati: chi si ferma è perduto, chi non compete è un fallito, chi non si valorizza, investendo su di sé, è destinato a un’esistenza anonima e opaca. Ecco servito il rivolgimento epocale del concetto di autenticità: autentico è chi pensa la propria vita come un capitale da sfruttare, potenziare e indirizzare verso risultati socialmente attraenti. (p. 62)”. Sembra di leggere Miguel Benasayag. La fertile ombra del filosofo argentino, del resto, è presente in diverse pagine e si materializza nell’ultima parte del libro, nel quale Bartolini dialoga proprio con l’autore di “Funzionare o esistere” e di altri pregevoli volumi molto apprezzati negli ultimi anni.
Un altro obiettivo polemico è quello della recente configurazione ideologica della sinistra. Una configurazione che si va strutturando da anni, caratterizzata dallo scivolamento verso una quasi esclusiva difesa dei diritti civili colpevolmente dimentica di quelli sociali (come ha recentemente notato, tra gli altri, Mimmo Cangiano nel suo recente “Guerre culturali e neoliberismo”. Una configurazione che è emersa anche durante la Sindemia Covid 19 (Bartolini usa giustamente questo termine e non Pandemia, in quanto gli ultimi quattro anni sono stati caratterizzati da eventi che sarebbe riduttivo ricondurre solo ad un’emergenza sanitaria, per quanto seria). “Come abbiano potuto – le sinistre istituzionali e di movimento, e con loro quasi tutti i sindacati – permettere una deriva del genere, è stato un interrogativo che mi ha tormentato per mesi. La risposta a cui sono giunto, assai diversa da un generico e sdegnato richiamo alla corruzione dilagante del nostro ceto politico, posso riassumerla come segue. Mi sono convinto, senza che questa appaia come una proposta sociologica articolata, che i cosiddetti “progressisti”, moderati o radicali, non avendo nel presente nessuna capacità di modificare realmente i rapporti di forza tra capitale e lavoro in direzione di una ridistribuzione delle ricchezze e dei diritti, abbiano colto al balzo la sindemia Covid-19 per improvvisare una sorta di socialismo sanitario dall’alto. La decisione “muscolare” di curare tutte e tutti, senza distinzioni, con l’arma definitiva del vaccino, imponendo restrizioni crescenti, multando o rendendo la vita impossibile a coloro che rigettavano il siero salvavita, deve aver ipercompensato quel senso di colpa che accompagna da decenni le compagini di sinistra, prima arruolate senza batter ciglio dentro l’esercito dei neoliberisti convinti, poi sempre più distanti dai bisogni concreti della classe lavoratrice, dei ceti medi e popolari” (p. 78).
Una tecnica consolidata, verrebbe da dire, e poi ripresa per raccontare “la guerra tra il blocco occidentale e la Russia con il popolo ucraino immolato come vittima sacrificale presa tra due fuochi, e la gestione dall’alto della transizione ecologica (a colpi di greenwashing e di colpevolizzazione degli stili di consumo delle fasce sociali meno abbienti)”, p. 80. In effetti, “Il rischio di essere appellati come “putiniani” e “antisemiti”, sulla scia dello stigma “No- vax”, anche in questo caso ha ridotto all’osso il numero delle voci fuori dal coro, in televisione, sulla stampa e negli incontri culturali locali. Solo pochi coraggiosi sono riusciti a penetrare la cortina fumogena del pensiero unico, subendo spesso attacchi ad personam da parte delle principali testate giornalistiche, dai canali mainstream della televisione e da molteplici diffamatori anonimi sui social network. Quali effetti distorti derivano dal quadro che ho tracciato? Il principale è l’aggravarsi delle suddette polarizzazioni, ormai croniche e recidive” (p. 82).
Ci sarebbero altri ambiti da citare, pur nello spazio esiguo di una recensione. Preferiamo tuttavia lasciare ai lettori la loro esplorazione, perché il libro di Bartolini va letto. E va letto nella consapevolezza che una via d’uscita dalla superficialità delle prime narrazioni e dalle banali polarizzazioni guidate dall’alto è ancora possibile. Specie se lo si fa lasciandosi guidare dal pensiero critico e da quella genuina vocazione alla vita autentica propria della filosofia chiamata in causa più volte dall’autore.
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