domenica 29 dicembre 2024

De Benedetto convince nel Requiem di Mozart

 

Esistono la volontà, il desiderio, la passione. Tre qualità che hanno spinto Nazzareno De Benedetto a realizzare il suo progetto, superando limiti e ostacoli di non facile portata. Merita ogni plauso, dunque, l’iniziativa del direttore d’orchestra messinese, che ha guidato il concerto dell’associazione “Exultate Jubilate, lo scorso 28 dicembre, al Palacultura “Antonello” di Messina.

Alcune precisazioni doverose: l’evento era inserito nel contesto di “Alba funesta”, la serata commemorativa del terremoto di Messina del 1908, giunta quest’anno alla sesta edizione, e fortemente voluta dall’assessore alla cultura del comune peloritano Enzo Caruso. Evento lodevole da molti punti di vista e che meriterebbe uno spazio a sé. In questa sede, tuttavia, restiamo sull’esibizione in oggetto.

Dopo l’esecuzione dell’Ouverture dell’Aida di Verdi, effettuata da De Benedetto con la bacchetta usata da Francesco Paolantonio durante l’ultima recita dell’Aida, il 27 dicembre 1908, al Vittorio Emanuele, è salito sul palco il clarinettista Giuseppe Corpina, solista del Concerto per clarinetto e orchestra KV 622 di Mozart. Ottima la performance di Corpina, a suo agio con la scrittura del Salisburghese sia nei momenti di maggiore pathos espressivo sia in quelli maggiormente virtuosistici. Un bel suono davvero, quello del musicista messinese, che ha evidenziato anche una costante presenza interpretativa.

A seguire, alla compagine orchestrale si è aggiunto il coro per eseguire il celebre Requiem KV 626. Sul palco anche i solisti Jennifer Schettino (soprano), Haruna Nagai (contralto), Davide Benigno (tenore), Maurizio Muscolino (basso).

Sicura e sciolta la direzione di De Benedetto, senz’altro figlia di un certosino e riuscito lavoro di preparazione sul coro, alle prese con una partitura notoriamente tutt’altro che agevole.

Particolarmente riuscite sono sembrate le parti più concitate dell’opera (dalla fuga del Kirie al Quam olim Abrahae, passando per il Confutatis). Il gesto della bacchetta messinese scolpisce nello spazio un’esegesi che non lascia spazio ad approfondimenti tragici ma privilegia, appunto, la fluidità ritmica e l’unità formale del brano. Assolutamente all’altezza della situazione i quattro solisti: cristallina e potente la voce della Schettino, puntuale ed efficace la Nagai, vocalmente esuberante ed espressivo Benigno, ieratico e solenne Muscolino (da incorniciare il suo Tuba mirum). Più che dignitosa la prova, nel complesso, dell’orchestra, brava ad assecondare le scelte agogiche del direttore e dei solisti e a sostenere in modo pertinente il dettato corale.

Applausi scroscianti, al termine, dalla gremita platea del Palacultura.

domenica 1 dicembre 2024

Il racconto dell'ancella

 

The Handmaid's è un romanzo di Margaret Atwood, una scrittrice canadese nota sia per l'attività letteraria che per le sue lotte all'interno della cornice ambientalista e femminista. Il libro, sin dalla prima traduzione italiana di Camillo Pennati, edito da Mondadori nel 1988 (Il racconto dell'ancella) è diventato famoso anche dalle nostre parti (oggi è disponibile nelle edizioni di Ponte alle grazie).

Esso immagina una società distopica del futuro, in cui negli Stati Uniti si è affermato un regime teocratico, guidato da fondamentalisti puritani, che priva le donne di qualsiasi diritto civile, condannando le sole tra di esse in grado di procreare (perché un misterioso virus provoca una diffusa sterilità) ad essere schiave di famiglie altolocate e legate al Potere, al fine di assicurare loro la discendenza.
La casta monocratica che opprime le donne è quella dei "Figli di Giacobbe". Il loro Credo, infatti, si basa sul seguente passo biblico: "«Rachele, vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, se no io muoio!». Giacobbe s’irritò contro Rachele e disse: «Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?». Allora essa rispose: «Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch’io una mia prole per mezzo di lei». Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei.» (Genesi 30,1-4).
Nel 1990, dal libro è stato tratto un film non molto fortunato, per la regia di Volker Schlöndorff, con Faye Dunaway, Robert Duvall e Natasha Richardson.
Più recentemente, invece, è stata realizzata una serie - visibile su Amazon prime video - con Elisabeth Moss nel ruolo della protagonista principale.
Mi permetto di consigliarne la visione. Specie se si vogliono indagare, in tempi di presunta lotta al patriarcato, alcune dinamiche contraddittorie della nostra epoca, come, ad esempio, quella relativa alla sacrosanta lotta per i diritti civili delle donne e la GPA.

venerdì 15 novembre 2024

Etichette, discriminazioni e doppiopesismo

 


A Selva di Cadore, nel bellunese, nei giorni scorsi, è stata rifiutata la prenotazione alberghiera ad alcuni turisti israeliani. I gestori dell'albergo hanno dichiarato a chi prenotava che non intendevano ospitare nella loro struttura cittadini di uno Stato che è responsabile di un genocidio a Gaza.

Ora, l'episodio è senz'altro da condannare e con fermezza. Non tanto perché - come puntualmente qualche Solone ha detto - esso ricordi l'antisemitismo e le discriminazioni nei confronti degli ebrei del secolo scorso.

Ma perché, molto più semplicemente, è un esempio di idiozia, ottusità e meschinità umana. Non perché fatto verso israeliani, italiani, etiopi o canadesi. Ma perché fatto nei confronti di Persone. E perché, anche e soprattutto, esso evidenzia la stupida e pericolosa equazione secondo cui i cittadini di uno Stato in cui il Governo fa cose discutibili o raccapriccianti (fate voi) devono pagare le colpe di chi li governa.
Questa è la cosa peggiore, pericolosa, foriera di possibili, nefaste conseguenze. La Storia è lì a ricordarcelo, sempre.

Tuttavia, andrebbe notato che questo tragico errore l'Occidente lo sta commettendo da quasi tre anni, e nella quasi completa approvazione generale. I cittadini russi, infatti, com'è noto, sono oggetto di discriminazioni simili, se non peggiori. E non da parte di meschini albergatori ma da parte di governi, federazioni sportive, associazioni concertistiche, università, circoli culturali ecc. Tutte istituzioni che hanno ostracizzato - e ostracizzano - i russi, rei di appartenere ad uno Stato il cui Governo si è reso protagonista di un'aggressione ad un altro Stato sovrano.

E' la stessa dinamica. Anzi, ripeto, nel caso dei russi è molto peggio. Vale la pena rifletterci. La realtà è complessa, e quando l'uomo semplifica e categorizza il disastro è, spesso, dietro l'angolo.

domenica 3 novembre 2024

Quando la satira Striscia

 

La satira, com’è noto, è un segnale molto importante per la salute della democrazia. Se c’è satira siamo in democrazia, verrebbe da dire, semplificando molto. Peraltro, com’è altrettanto noto, si tratta di un genere prettamente italico. Nel libro X dell'Institutio oratoria Quintiliano afferma, infatti: “Satura quidem tota nostra est”, intendendo dire che, a differenza della tragedia e della commedia, di chiara e nobile matrice greca, la satira è una creazione del genio latino.
Si tratta, quindi, di uno strumento prezioso, che, sorridendo, critica costumi e potere (Castigat ridendo mores, ci insegnava Jean de Santeul).
Proprio per questo suo statuto ontologico, quando la satira abdica a questo ruolo diventa grottesca parodia o - peggio ancora, e paradossalmente – strumento nelle mani del Potere.
Potremmo fare molti e significativi esempi.
Mi limito a farne uno piccolo e miserevole ma comunque, a mio avviso, significativo.
Ho rivisto in televisione, dopo anni, un paio di puntate del tg satirico “Striscia la notizia”. Ammetto di aver avuto in passato un po' di simpatia per questa trasmissione, della quale apprezzavo una certa, produttiva irriverenza, nonché la capacità di denunciare spesso fatti e misfatti ignorati dall’informazione ufficiale.
Alcuni di tali aspetti permangono, mi sembra di poter dire, nella versione odierna, ma in maniera sempre più marginalizzata.
Trovano sempre più spazio, invece, aspetti che, dal mio punto di vista, denunciano un furbo allineamento alle narrazioni dominanti e, dunque, a chi tali narrazioni partorisce: ossia il Potere.
Se ne potrebbe parlare a lungo. Faccio solo qualche esempio.
Non più due veline ma una velina e un velino. Cioè, dopo decenni in cui hai contribuito a rendere di successo l’immagine della donna-corpo bella e senza cervello, buona a procurarsi flirt e love story con i calciatori accogli il dettame del politically correct e metti un maschio-oggetto accanto alla donna oggetto; non sia mai qualcuno si lamenti...
Dai una rubrica a Enrico Mentana, uno dei giornalisti sacerdoti della correctnes, nonché proprietario dell’agenzia che si è auto assunta il ruolo di denunciare le cosiddette fake news. Inserisci una rubrica apposita sulle fake news, affidando il ruolo del gran visir a un esponente di un sito anti bufale, sorridendo e ridacchiando sui somari che abboccano alle bufale stesse.
Mandi in giro un inviato per esporre al pubblico ludibrio quelli che posteggiano nel parcheggio per disabili senza averne titolo (pratica ovviamente esecrabile, ci mancherebbe) e lo fai accompagnando l’inviato con un disabile in carrozzella (strumentalizzando quindi la disabilità stessa). Mandi in giro altri inviati per celebrare ciclicamente l’inclusività e blastare webeti e bifolchi che credono a complotti vari.
Per la presunta satira ai politici ti affidi a jingle partoriti maldestramente dall’intelligenza artificiale o fai patetiche interviste comiche a sorridenti onorevoli e senatori.
E mi fermo qua.
Spero ci siano sufficienti motivi per non guardare più cose simili. Poi, oh, ognuno è padrone delle sue preferenze. Ma, per favore, non parlate più di satira. La satira vera è, scomodamente, un’altra cosa. Critica il potere e non striscia dinanzi ad esso.

lunedì 28 ottobre 2024

Paolo Bartolini nel limite dei possibili

 


Lo definisce ‘ecosistemico’ lo sguardo del suo ultimo libro, Paolo Bartolini. “Nel limite dei possibili. Pensiero critico e realismo visionario” (edito da Meltemi), infatti, riflette su alcuni dei principali temi dell’attualità, individuandone le matrici culturali e il sotteso filosofico, da un lato, e sforzandosi di costruire le numerose relazioni che fatti, eventi e fenomeni dell’attualità hanno tra di essi. Uno sguardo che vuole essere quello dell’intellettuale alle prese con il delicato passaggio epocale che stiamo vivendo: dall’ipermodernità all’era complessa. Per affrontarlo, scrive Bartolini (che è analista biografico a orientamento filosofico), è necessario evitare “i voli pindarici di un pensiero scollegato dalla realtà, ma anche l’impotenza depressiva a cui ci hanno consegnato i fallimenti novecenteschi delle rivoluzioni “socialiste” e la vertigine delle trionfanti logiche neoliberiste” (pp. 11-12). A tale scopo, per Bartolini, è necessario muoversi ‘nel limite dei possibili’, appunto. Considerare il limite una possibilità, il diverso un’occasione, creando reti ecologiche (e non egologiche) tra le singolarità di chi si avventura nella costruzione di senso del Reale. Solo così sarà possibile evitare gli “estremi scivolosi dell’accelerazionismo cyber/transumanista e di un comunitarismo fuori tempo massimo”; opponendosi a questo – ma anche ad altri sterili bipolarismi – “una visione e delle pratiche centrate sulla relazione, sulla tessitura di legami che liberano proprio mentre uniscono” (p. 56).


Su tale assunto di base si muove l’intero volume, che prende in esame diversi aspetti particolarmente significativi dell’attuale scenario sociale, spingendo sempre a coniugare spiritualità e politica (intesa, quest’ultima, nel senso più alto del termine). Diversi gli obiettivi critici del testo, anche se Bartolini li affronta sempre con equilibrio e grazia espositiva. È il caso, ad esempio, della retorica neoliberista, “che da più di quarant’anni ci induce a considerare la nostra vita come una piccola azienda da condurre al successo, assilla giovani e meno giovani facendoli sentire sbagliati, inadeguati: chi si ferma è perduto, chi non compete è un fallito, chi non si valorizza, investendo su di sé, è destinato a un’esistenza anonima e opaca. Ecco servito il rivolgimento epocale del concetto di autenticità: autentico è chi pensa la propria vita come un capitale da sfruttare, potenziare e indirizzare verso risultati socialmente attraenti. (p. 62)”. Sembra di leggere Miguel Benasayag. La fertile ombra del filosofo argentino, del resto, è presente in diverse pagine e si materializza nell’ultima parte del libro, nel quale Bartolini dialoga proprio con l’autore di “Funzionare o esistere” e di altri pregevoli volumi molto apprezzati negli ultimi anni.


Un altro obiettivo polemico è quello della recente configurazione ideologica della sinistra. Una configurazione che si va strutturando da anni, caratterizzata dallo scivolamento verso una quasi esclusiva difesa dei diritti civili colpevolmente dimentica di quelli sociali (come ha recentemente notato, tra gli altri, Mimmo Cangiano nel suo recente “Guerre culturali e neoliberismo”. Una configurazione che è emersa anche durante la Sindemia Covid 19 (Bartolini usa giustamente questo termine e non Pandemia, in quanto gli ultimi quattro anni sono stati caratterizzati da eventi che sarebbe riduttivo ricondurre solo ad un’emergenza sanitaria, per quanto seria). “Come abbiano potuto – le sinistre istituzionali e di movimento, e con loro quasi tutti i sindacati – permettere una deriva del genere, è stato un interrogativo che mi ha tormentato per mesi. La risposta a cui sono giunto, assai diversa da un generico e sdegnato richiamo alla corruzione dilagante del nostro ceto politico, posso riassumerla come segue. Mi sono convinto, senza che questa appaia come una proposta sociologica articolata, che i cosiddetti “progressisti”, moderati o radicali, non avendo nel presente nessuna capacità di modificare realmente i rapporti di forza tra capitale e lavoro in direzione di una ridistribuzione delle ricchezze e dei diritti, abbiano colto al balzo la sindemia Covid-19 per improvvisare una sorta di socialismo sanitario dall’alto. La decisione “muscolare” di curare tutte e tutti, senza distinzioni, con l’arma definitiva del vaccino, imponendo restrizioni crescenti, multando o rendendo la vita impossibile a coloro che rigettavano il siero salvavita, deve aver ipercompensato quel senso di colpa che accompagna da decenni le compagini di sinistra, prima arruolate senza batter ciglio dentro l’esercito dei neoliberisti convinti, poi sempre più distanti dai bisogni concreti della classe lavoratrice, dei ceti medi e popolari” (p. 78).

Una tecnica consolidata, verrebbe da dire, e poi ripresa per raccontare “la guerra tra il blocco occidentale e la Russia con il popolo ucraino immolato come vittima sacrificale presa tra due fuochi, e la gestione dall’alto della transizione ecologica (a colpi di greenwashing e di colpevolizzazione degli stili di consumo delle fasce sociali meno abbienti)”, p. 80. In effetti, “Il rischio di essere appellati come “putiniani” e “antisemiti”, sulla scia dello stigma “No- vax”, anche in questo caso ha ridotto all’osso il numero delle voci fuori dal coro, in televisione, sulla stampa e negli incontri culturali locali. Solo pochi coraggiosi sono riusciti a penetrare la cortina fumogena del pensiero unico, subendo spesso attacchi ad personam da parte delle principali testate giornalistiche, dai canali mainstream della televisione e da molteplici diffamatori anonimi sui social network. Quali effetti distorti derivano dal quadro che ho tracciato? Il principale è l’aggravarsi delle suddette polarizzazioni, ormai croniche e recidive” (p. 82).


Ci sarebbero altri ambiti da citare, pur nello spazio esiguo di una recensione. Preferiamo tuttavia lasciare ai lettori la loro esplorazione, perché il libro di Bartolini va letto. E va letto nella consapevolezza che una via d’uscita dalla superficialità delle prime narrazioni e dalle banali polarizzazioni guidate dall’alto è ancora possibile. Specie se lo si fa lasciandosi guidare dal pensiero critico e da quella genuina vocazione alla vita autentica propria della filosofia chiamata in causa più volte dall’autore.


giovedì 17 ottobre 2024

Il delizioso viaggio sonoro di "piccolomondomusica"

 

Mi ronzava nelle orecchie e nella mente, quell’aggettivo: delizioso. Continuavo a pensare che fosse la parola adatta per descrivere ciò a cui stavo assistendo. Per questo, quando una delle attrici – la voce narrante – l’ha pronunciata, alla fine, per descrivere il viaggio nel mondo dei suoni raccontato da “piccolomondomusica”, ho provato una piacevole sensazione di consonanza cognitiva. Credo che altrettanto belle siano state le sensazioni del gremito pubblico intervenuto al Teatro Vittorio Emanuele di Messina per assistere allo spettacolo ideato dalla bravissima Marta Cutugno. Un progetto intelligente, delicato e coinvolgente, vincitore del bando SIAE "Per Chi Crea" Nuove Opere, sezione Teatro 2023, e realizzato con il sostegno del MiC e di SIAE.

“Piccolomondomusica” è un iniziatico viaggio sonoro; dedicato ai bambini, certo, ma piacevolmente fruibile anche da un pubblico adulto. Sulla scena, quattro attori (gli efficaci e spigliati Francesco Natoli, Giulia De Luca, Alessio Pettinato ed Emanuela Ungaro), accompagnano gli spettatori, con grandi doti comunicative, nel mondo della musica, appunto. E lo fanno illustrando con personaggi ed oggetti i principali elementi del linguaggio sonoro: i valori musicali, i parametri del suono come l’altezza e l’intensità, il ritmo, il silenzio e così via. L’obiettivo didattico è pienamente centrato e dimostra, una volta di più, come sia possibile – se ci si affida alle mani giuste - coniugare divertimento e apprendimento.

Pertinenti le musiche, realizzate dalla stessa Marta Cutugno e dal compositore messinese Giovanni Puliafito. Azzeccate anche le scelte degli altri protagonisti dietro le quinte: dalla regista Adriana Mangano e dall’aiuto regista Laura Giacobbe alle luci di Antonio Rinaldi, passando per il visual artist Giovanni Bombaci, i costumi di Cinzia Preitano, le foto di Giuseppe Contarini e la produzione audio di Patrick Fisichella. Di Maurizio Puglisi per Nutrimenti terrestri la produzione.
Applausi convinti, al termine, dalla platea, nella quale figuravano giustamente moltissimi – ed entusiasti – bambini.

giovedì 26 settembre 2024

DIECI INTERMINABILI SECONDI

 











Attraversa tutto il libro, il numero 10. E lo fa in modo esplicito ma anche carsico, nelle centoventisette pagine che compongono l’ultima fatica letteraria di Daniele Caroleo, “Dieci interminabili secondi”, edito da Eclettica. Il giornalista sportivo, direttore de “Il calcio quotidiano”, racconta “una storia di sport in miniatura”, come recita il sottotitolo – che vede anche la prefazione di Italo Cucci e l’introduzione di Giancarlo Abete. Protagonista indiscusso il calcio da tavolo, meglio conosciuto al grande pubblico con il nome di Subbuteo. Caroleo ne traccia un breve ma efficace profilo storico (dalla nascita, che si deve all’ornitologo inglese Peter Adolph, nel 1947, ai giorni nostri, passando per la sua stagione d'oro, negli anni Settanta e Ottanta, quando costituiva per i ragazzi quello che oggi è la Playstation) intrecciandolo con le storie personali di alcuni tra i protagonisti della disciplina sportiva che ha appassionato – e appassiona ancora – intere generazioni. Protagonisti del passato, certo, ma anche, e soprattutto, del presente.
Come nel caso di coloro che hanno preso parte alla spedizione azzurra agli Europei di Gibilterra del 2023, in cui la nazionale maggiore si è laureata campione continentale con un golden goal segnato da Luca Battista proprio dopo dieci secondi di preparazione; sfruttando, cioè, l’intero tempo a disposizione previsto dal regolamento per un tiro in porta. Sempre un numero 10, quindi, come dieci sono i capitoli del libro che Caroleo scrive con uno stile asciutto, essenziale ed estremamente comunicativo, accennando anche, in diversi passaggi, ad altri sport in cui il dieci ritorna ad essere protagonista (si pensi solo al tempo entro cui un pugile si deve alzare dopo essere caduto sul ring in seguito a un duro colpo dall’avversario). Quello che colpisce maggiormente, inoltre, è la indubbia capacità che Caroleo dimostra nel cogliere in piccoli particolari grandi nuclei e snodi emotivi. Una capacità rara, che ben si addice a chi vuole raccontare di una disciplina in cui il dettaglio, la minuzia, i millimetri nascono da sforzo, attenzione e concentrazione tutt’altro che piccoli.
Una bella iniziativa, dunque, la pubblicazione del lavoro (realizzato anche in collaborazione con la Fisct – Federazione Italiana Sportiva Calcio Tavolo – e con il settore Subbuteo dell’ente di promozione sportiva Opes), che regala ulteriore spazio al subbuteo e ne incrementa la attuale innegabile crescita mediatica (che ci auguriamo aiuti ad allontanare i ragazzi da un uso spesso eccessivo e diseducativo dei dispositivi elettronici), oltre a contribuire ad una meritoria azione benefica. I proventi delle vendite, infatti, saranno destinati all’iniziativa “Vinciamo insieme”: un progetto della Lega Nazionale Dilettanti che, attraverso il calcio virtuale, intende portare gioia e condivisione all’interno di strutture come comunità di recupero, case-famiglia, ospedali e altri luoghi in cui barriere sociali e fisiche possono limitare l’accesso allo sport.




De Benedetto convince nel Requiem di Mozart

  Esistono la volontà, il desiderio, la passione. Tre qualità che hanno spinto Nazzareno De Benedetto a realizzare il suo progetto, superand...