lunedì 13 luglio 2020

Per una difesa della Scuola in presenza















1.      Premessa

Me le ricorderò a lungo le facce dei miei alunni durante la didattica a distanza: chi al tavolo della cucina, chi in salotto o nella sua cameretta. Mi hanno fatto una grande tenerezza, con quel loro “buongiorno prof” e io lì a confortarli e rassicurarli, prima di fare lezione. Me le ricorderò a lungo, ma di due cose sono certo. La prima è che non voglio più vederle così, quelle facce, non voglio più vederle dietro uno schermo. La seconda è che chi dice che la didattica on line è una buona soluzione non conosce e non ama la Scuola. E siccome qualcuno lo dice, come docente e come genitore la cosa mi preoccupa, e molto. Soprattutto perché tali affermazioni arrivano non solo dagli ambienti ministeriali, che purtroppo ci hanno abituato da anni a politiche quantomeno discutibili per la Scuola, ma anche tra alcuni colleghi, e nemmeno pochi.
Poi capisco tutto, per carità. Sono stati mesi pesanti, lo sappiamo. Per chi ha contratto la Covid-19 e non ce l’ha fatta, in primo luogo, ma anche per chi ha dovuto lottare duramente prima della guarigione, per i parenti delle vittime, per il personale sanitario stremato dal lavoro. Per non parlare di chi, e sono tanti, ha avuto un danno economico fortissimo, come la perdita del lavoro o un bilancio aziendale, professionale e commerciale gravemente compromesso.
Accanto a questo drammatico nucleo, però, ruotano altri universi, sui quali occorre vigilare con grande attenzione, per evitare danni che andrebbero ben al di là di quelli epidemiologici. Uno di questi è la Scuola. Occorre assolutamente riportare l’attività scolastica alla ‘normalità’. Sì, lo so che quella che si è chiusa il 7 marzo non era una bella Scuola. Aveva mille problemi, non uno. Ma era sicuramente meglio di quella che rischiamo di vivere da settembre in poi. E i ragazzi hanno sofferto, terribilmente sofferto. Abbiamo chiesto loro un sacrificio enorme, affrontato dalla maggior parte di essi in modo esemplare. Ma con sofferenza. Sofferenza attutita talora dal vivere in contesti famigliari virtuosi, talaltra dalla presenza di docenti che sono riusciti a svolgere un ruolo educativo anche dietro uno schermo, ma comunque una grande sofferenza.[1]
Sofferenza che non dobbiamo permettere più, in nessun caso. E non dobbiamo farlo non perché, semplicemente, non lo vogliamo (e già sarebbe comunque qualcosa) ma perché esistono evidenze scientifiche che dimostrano, in primo luogo, quali sono i danni in termini psicologici, sociologici e didattici della didattica on line e di una scuola che non torni ad essere il motore di un armonico sviluppo degli alunni, e, in secondo luogo, la sostanziale, scarsa pericolosità del contagio tra le mura scolastiche.

2.      I perché di una posizione netta e imprescindibile

Parto dal primo aspetto. In un silenzio talvolta assordante, specie nei primi due mesi delle restrizioni, da parte del mondo intellettuale, non sono fortunatamente mancate voci autorevoli che hanno sottolineato l’urgenza di tornare sui banchi e i danni della chiusura e del distanziamento fisico per studenti e non. Senza ovviamente la pretesa di essere esaustivo, mi limito ad alcuni, significativi esempi. E lo faccio in modo non cronologico. Su “Repubblica” del 19 giugno, ad esempio, Massimo Recalcati sottolinea come sia miope pensare alla riapertura della scuola solo in termini di sicurezza:

Tuttavia limitarsi a ragionare sulle distanze necessarie da preservare, sul rischio degli assembramenti e sulle mascherine, sulla presenza o meno delle pareti di plexiglass spoglia fatalmente la riflessione della scuola schiacciandola sulla necessità della gestione della crisi sanitaria. Ma la scuola italiana è da tempo in terapia intensiva. Ben prima del Covid. Essa resiste solo grazie alla tenacia di molti dei suoi protagonisti, in primis quella degli insegnanti che preservano con il loro impegno e la loro passione il respiro vivo del corpo della scuola.[2]

E aggiunge che

la relazione non è qualcosa che si aggiunge alla didattica come una sua appendice esterna, ma è la condizione di ogni didattica. Dunque non esiste didattica a distanza. La tecnologia non può supplire alla vita comunitaria della scuola. Ma ribadita questa raccomandazione il problema non è affatto risolto ma, al contrario, inizia a porsi. Cosa fare per il paziente-scuola? Avrebbe meno dignità di essere curato con attenzione rispetto ad altri? Se i nostri governanti riuscissero a non lasciarsi irretire dall’emergenza sanitaria dovrebbero indicare le linee guida per una cura che non deve coincidere con la gestione dell’emergenza Covid.[3]

Alla luce delle Linee guida ministeriali, invece, tutto è ancora visto proprio come Recalcati non auspicava e, cioè, sub specie medica. Basta dare una veloce scorsa alle linee guida stesse per rendersene conto: distanze, mascherine, metri quadri per alunno, ipotesi di turnazione e didattica on line in modalità esclusiva o blended, e così via.[4] Nessuna traccia di quell’approccio che Recalcati stesso riteneva fondamentale, in quanto

Bisogna ricordarlo: la scuola non ha come obiettivo la difesa della sicurezza dei suoi protagonisti, ma la difesa della condizione di civiltà di un Paese. Per questo la sua competenza non è settoriale ma investe la nostra comunità, la sua stessa identità. Il dibattito sulla scuola non può restare ostaggio del virus e del problema della sicurezza […]. È necessario uno sforzo politico e culturale di immaginazione e di pensiero. Meglio se collettivo, meglio se capace di coinvolgere gli insegnanti e le loro associazioni. In ogni caso libero, laico, vivo, insomma non pietrificato dallo sguardo di Medusa del virus.
Uno ‘sguardo di Medusa’ che continua purtroppo a pietrificare gli ambienti ministeriali, soggiogati da un Comitato tecnico-scientifico che ha più volte confermato la sua incapacità – peraltro – di poter dettare linee governative a una classe politica che, dal suo canto, non decide ed evita di assumersi spesso l’onore della scelta. Su questo tema potremmo insistere molto. Mi limito a sottolineare come sia stato e continui ad essere inaccettabile che un Paese venga consegnato a specialisti di un ambito medico – in questo caso prevalentemente virologi – dal momento che certo specialismo scientista permea ancora buona parte del mondo medico, a livello nazionale (soprattutto) e internazionale. Uno specialismo che con una prevalente se non esclusiva visione scotomizzata di ciò che ha davanti occulta la variegata complessità del reale e di tutti quei contesti – sociali, economici, psicologici, antropologici – duramente colpiti da decisioni aventi come unico ed esclusivo orizzonte di senso il contenimento di un virus. Sono state fatte molte riflessioni, in merito, la gran parte delle quali, se non tutte, inascoltate. A titolo esemplificativo, ecco quanto scrive Carmelo Palma:

L’atteggiamento di Guerra [Ranieri Guerra, rappresentante dell’OMS, n.d.a.] e dei componenti del Comitato tecnico della protezione civile dimostra che l’appello “alla scienza” rischia in modo sempre più evidente di diventare l’alibi ideologico per quanti non vogliono assumere la responsabilità di decisioni controverse e potenzialmente lesive di interessi e diritti, che decisioni alternative potrebbero salvaguardare in modo più efficace, ma con “prezzi politici” che il decisore pubblico ritiene di non potere sostenere.[5]

Il tutto in omaggio costante a principi e modus operandi di stampo riduzionistico:

Per fare queste scelte, non c’è niente di meglio di un “timbro” scientifico che giustifichi l’ineluttabilità della decisione. Il “metodo scientifico” di fronte a problemi complessi imporrebbe, in primo luogo, di evitare approcci riduzionistici […]. Invece in Italia è diventato paradossalmente “scientifico” il ricorso al principio di autorità – ipse dixit – per non giustificare razionalmente il contenuto di una decisione.[6]

Per non parlare, sempre riprendendo Palma, dei rischi di derive autoritarie – pur mascherate e patinate dal ‘sacro’ diritto della salute pubblica insite in tali atteggiamenti:

[…] come sempre avviene in politica, l’oblio della razionalità – anche se dissimulata nell’ossequio a un sapere disciplinare – diventa la via maestra di soluzioni autoritarie, in cui il sacrificio della libertà individuale e del pluralismo sociale diventa irrilevante, perchè necessario e quindi "benedetto". Insomma, la presunta indiscutibilità della scienza diventa lo schermo per la pretesa indiscutibilità del potere.[7]

Peraltro, per tornare allo ‘sguardo di Medusa’ di cui parla Recalcati, va sottolineato che esso continua a pietrificare anche una certa parte del mondo docente, spaventato oltre misura dalla possibilità di contrarre la malattia o attento a rivendicazioni dal sapore  unicamente ‘sindacale’, ma nel senso più deteriore del termine. Ma su questo, che per me è un tasto molto dolente, preferisco non aggiungere altro.
Mi piace invece chiamare in causa Giorgio Agamben, uno dei più grandi filosofi italiani viventi. Non solo per la profonda analisi della realtà che ha sempre caratterizzato il suo pensiero ma anche perché, in tempo di virus, è passato dall’essere considerato uno dei pensatori più amati e à la page, ad anziano professore in pensione ormai fuori di testa (destino analogo, se si riflette un attimo, a scienziati ‘eretici’ rispetto alla vulgata del mainstream come, ad esempio, il premio Nobel Luc Montaigner o Giulio Tarro, ma che è risultato difficile ripetere nei confronti di altre autorevoli voci in ambito medico e ‘dissidenti’ rispetto a letture catastrofiche dell’epidemia, come Alberto Zangrillo, Matteo Bassetti, Guido Silvestri o Massimo Clementi, solo per citarne alcuni). A parere di chi scrive Agamben, invece, è stato uno dei pochi che ha mantenuto lucidamente la barra dritta, denunciando chiaramente i rischi insiti in tutta la fenomenologia legata al virus, non ultimi quelli riguardanti la didattica on line. Parlando ad esempio delle università, Agamben afferma:

Quello che per un osservatore attento era evidente, e cioè che la cosiddetta pandemia sarebbe stata usata  come pretesto per la diffusione sempre più pervasiva delle tecnologie digitali, si è puntualmente realizzato. Non c’interessa qui la conseguente trasformazione della didattica, in cui l’elemento della presenza fisica, in ogni tempo così importante nel rapporto fra studenti e docenti, scompare definitivamente, come scompaiono le discussioni collettive nei seminari, che erano la parte più viva dell’insegnamento. Fa parte della barbarie tecnologica che stiamo vivendo la cancellazione  dalla vita di ogni esperienza dei sensi e la perdita dello sguardo, durevolmente  imprigionato  in uno schermo spettrale.[8]

Così come centrale appare la questione che Agamben richiama quando sottolinea il venir meno, con la didattica on line, dell’Università come centro ‘vivo’ di scambi e relazioni umane e culturali:

Le università sono nate in Europa dalle associazioni di studenti – universitates –  e a queste devono il loro nome. Quella dello studente era, cioè, innanzitutto una forma di vita, in cui determinante era certamente lo studio e l’ascolto delle lezioni, ma non meno importante erano l’incontro e l’assiduo scambio con gli altri scholarii, che provenivano spesso dai luoghi più remoti e si riunivano secondo il luogo di origine in nationes […]. Chiunque ha insegnato in un’aula universitaria sa  bene come per così dire sotto i suoi occhi si legavano amicizie e si costituivano, secondo gli interessi culturali e politici, piccoli gruppi di studio e di ricerca,  che continuavano a incontrarsi anche dopo la fine della lezione. Tutto questo, che era durato per quasi dieci secoli, ora finisce per sempre. Gli studenti non vivranno più nella città dove ha sede l’università, ma ciascuno ascolterà le lezioni chiuso nella sua stanza, separato a volte da centinaia di chilometri da quelli che erano un tempo i suoi compagni. Le piccole città, sedi di università un tempo prestigiose, vedranno scomparire dalle loro strade quelle comunità di studenti che ne costituivano  spesso la parte più viva.[9]

Si tratta dello stesso Agamben che a fine aprile ricordava quali possono essere i rischi legati dal consegnare i destini di un popolo a una classe di scienziati, come già notato sopra:

È sempre pericoloso affidare ai medici e agli scienziati decisioni che sono in ultima analisi etiche e politiche. Vede, gli scienziati, a torto o a ragione, perseguono in buona fede le loro ragioni, che si identificano con l’interesse della scienza e in nome delle quali – la Storia lo dimostra ampiamente – sono disposti a sacrificare qualunque scrupolo di ordine morale. Non ho bisogno di ricordare che sotto il nazismo scienziati molto stimati hanno guidato la politica eugenetica e non hanno esitato a approfittare dei lager per eseguire esperimenti letali che ritenevano utili per il progresso della scienza e per la cura dei soldati tedeschi. Nel caso presente lo spettacolo è particolarmente sconcertante, perché in realtà, anche se i media lo nascondono, non vi è accordo fra gli scienziati e alcuni dei più illustri fra di essi, come Didier Raoult, forse il massimo virologo francese, hanno diverse opinioni sull’importanza dell’epidemia e sull’efficacia delle misure di isolamento, che in un’intervista ha definito una superstizione medievale. Ho scritto altrove che la scienza è diventata la religione del nostro tempo. L’analogia con la religione va presa alla lettera: i teologi dichiaravano di non potere definire con chiarezza che cos’è Dio, ma in suo nome dettavano agli uomini delle regole di condotta e non esitavano a bruciare gli eretici; i virologi ammettono di non sapere esattamente che cos’è un virus, ma in suo nome pretendono di decidere come devono vivere gli esseri umani»[10]

Purtroppo, si tratta di una deriva cui il nostro Paese – in primis e in una misura maggiore – ma anche altre nazioni sono state sottoposte da una narrazione mediatica che non sembra arretrare neanche davanti all’evidenza. Lo hanno sottolineato in molti, e da più fronti. Cito solo l’intervento del presidente del Censis, Giuseppe De Rita, giusto per cercare di illustrare come i contesti di appartenenza di chi dissente siano stati estremamente variegati:

La comunicazione usata nell’emergenza ha favorito la paura: “Ne sono convinto. È un meccanismo non casuale, ma scelto. Se alimento sempre più paura, la gente - osserva De Rita - fa come dico io. Ma è un meccanismo non solo italiano, viene usato in Inghilterra e in altri Paesi. Una comunicazione che crea un tempo sospeso, in cui nessuno dice con precisione cosa avverrà.
E questo non può che accrescere la paura. Le sembra possibile - prosegue il sociologo - che di fatto i virologi o un comitato tecnico debbano dire se e quando può iniziare un campionato di calcio, o aprire una scuola. Si è creato un accentramento di potere, almeno sull’indicazione dei comportamenti da seguire”.[11]

Ma, per tornare al disastro relazionale e didattico di una scuola che non sia in presenza, le voci di allarme provenienti dagli psichiatri sono state numerose. Basti pensare a quella di Paolo Crepet, il quale, ai primi di maggio, già tuonava contro la possibilità di una didattica ‘mista’, metà in presenza e metà on line:

Mi fa orrore che il Ministro mandi metà dei bambini a diventare degli autistici digitali[12]

Per non parlare dell’appello lanciato da settecento tra psicologi e psichiatri nello scorso mese di maggio.[13] Un appello rivolto a salvaguardare la salute psichica di tutti, per la verità, non solo della popolazione studentesca, ma che, ovviamente, lancia numerosi campanelli d’allarme che è possibile prendere ovviamente in considerazione per gli studenti. Nell’appello, ad esempio, si scrive che

La limitazione della libertà, la paura e la preoccupazione per il futuro hanno dato l’avvio a risposte disforiche con aumentata propensione al danneggiamento di altri e di se stessi. La violenza domestica è aumentata, così come episodi di aggressione verbale e fisica tra individui familiari o non familiari. La sospettosità paranoide nei confronti degli altri, come “portatori di malattie” e untori, è ormai l’oggetto principale della disgregazione della comunità.[14]

Un aspetto sul quale, invece, rappresentanti del governo e stampa mainstream continuano invece ad insistere quotidianamente, alimentando uno stato di cose che va proprio nella pericolosa deriva segnalata dall’appello. Inoltre, e qui il richiamo indiretto alla Scuola è evidente,

La progressiva concretizzazione di scenari orwelliani, giustificati da una necessaria urgenza per la protezione della salute fisica, sono proporzionali ad un aggravamento della salute psichica e un impoverimento della cultura. Tale aspetto appare inspiegabilmente come una preoccupazione minoritaria o addirittura non degna di nota. In altre parole emerge in modo sorprendente un’ossessiva attenzione a proteggere l’aspetto quantitativo dell’esistenza umana, a discapito dell’aspetto qualitativo.[15]

Così come eloquente appare, per lo stesso motivo, il seguente passaggio:

Allarma il drammatico e brutale accantonamento delle pratiche a tutela dello sviluppo dei bambini. Scelte e strutturazioni di percorsi validate nel corso di anni ed anni di ricerca psicopedagogica, vengono dismessi e sostituiti da sconfortanti soluzioni posticce, sotto l’egida di comunicati “scientifici” come quello dell’OMS che suggerisce l’utilità dei videogiochi per far trascorrere il tempo ai più piccoli (la stessa OMS che, negli ultimi vent’anni, ha invitato noi operatori della cura a creare e realizzare progetti per un uso consapevole della rete internet al fine di prevenirne la dipendenza e l’abuso) o da idee di rientro inaccettabili come l’uso di braccialetti elettronici per il distanziamento o, ancora peggio, soluzioni a lungo termine di video educazione.[16]

L’appello prosegue con una serie di puntualizzazioni esemplari e illuminanti. Per tale motivo, è consigliabile l’intera lettura. Tuttavia, appare opportuno riportare almeno un altro estratto, che suona come un monito nei confronti dei decisori sulla riapertura delle scuola:
La natura umana è intrinsecamente relazionale e il nostro cervello si sviluppa solo grazie a relazioni di una certa natura. Le relazioni familiari quanto quelle sociali, per potersi strutturare ed evolvere, hanno bisogno di potersi appoggiare continuativamente ad una presenza fisica e di poter essere vissute con fiducia, e non con sospetto o paura. Ogni surrogato tecnologico in tal senso, sarà sempre deficitario. Instillare nelle persone, e ancora di più nei bambini, il timore di un “nemico invisibile” di cui il prossimo può essere portatore, equivale ad impoverire od annichilire ogni possibilità di crescita, scambio, arricchimento; equivale in sostanza a cancellare ogni possibilità di vita intensa e felice.[17]
In una direzione analoga, ma decisamente e programmaticamente orientata verso la Scuola, va un recente manifesto divulgato in rete dall’Area Perinatale del SIPRe (Società Italiana di psicanalisi per la Relazione) di Milano.[18] Il manifesto sottolinea, in apertura, che l’apprendimento

[…] non è solo un processo lineare di trasmissione dal maestro al discente ma si svolge all’interno della relazione unica tra quellalunno quel maestro; non è neppure solo un processo verticale ma anche e soprattutto orizzontale, tendiamo a sottovalutare quanto i bambini imparano osservando i lori compagni e vivendo la quotidianità con loro. La scuola per i bambini è anche scuola di vita, di interazione tra pari, di incontro e scontro, dove imparare a relazionarsi non solo con un adulto che insegna loro a leggere e a scrivere, ma anche con altri bambini, con cui giocare e confrontarsi. Nella scuola, e nel confronto tra pari, si apprendono e affinano una quantità notevole di competenze: capacità di reggere le frustrazioni (un altro bambino, al contrario dei genitori, non ti farà vincere per farti felice), di attendere, di alternarsi nei giochi, di negoziare, di comprendere, di stare dentro i limiti, di concentrarsi (se non ascolti le regole del gioco i ragazzini ti espellono), di collaborare, di empatizzare, etc… Pensate che perfino la SIN, la Società Italiana di Neonatologia, ha continuato a richiedere che venisse garantita la presenza dei genitori  nei reparti dove sono ricoverati i bambini nati pretermine, perché i rischi del contagio erano minori (nonostante gli organi e i polmoni dei bambini siano immaturi) rispetto ai vantaggi dell’avere la relazione con il genitore al di là dell’incubatrice. La relazione è vitale perché protegge e promuove lo sviluppo neurologico. La relazione non è un semplice veicolo per trasmettere nozioni, alla stregua del computer o della lavagna, ma l’apprendimento è relazione e si nutre di essa! Pertanto diventa chiaro come l’apprendimento realmente trasformativo si svolge da una posizione attiva e aperta alla condivisione, quindi nel vivo della relazione.[19]

E prosegue con un deciso attacco all’uso delle mascherine:

Di conseguenza la domanda che ci poniamo è, come può avvenire tutto questo senza momenti di scambio, con la mascherina che spesso ci impedisce di capire bene quello che dice o prova un altro bambino? Al di là degli aspetti patologici, proviamo a pensare anche solo ai bambini più timidi, che spesso faticano a far sentire la loro voce e a socializzare, come faranno in questo clima dove relazione è contagio?[20]

Non manca, ovviamente, la sottolineatura delle gravi ripercussioni sulla salute psichica degli studenti:

Con la chiusura delle scuole e delle attività extra-scolastica, i bambini e gli adolescenti di tutto il mondo si sono trovati non solo senza uno spazio di didattico, ma senza uno spazio di confronto, di ascolto, di sfogo e di interazione. La chiusura di nidi e scuole (dall’infanzia a alle università) ha fatto emergere, oltre a un inevitabile rallentamento didattico per alcuni studenti, che sarà difficilmente colmabile nel prossimo anno scolastico, manifestazioni di disagio psicologico preoccupante, proprio a causa della prolungata mancanza di relazioni, di occasioni educative e sociali.
Secondo l’American Academy of Pediatrics, il ritorno a scuola è necessario per lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale dei bambini e dei ragazzi, per riallineare le differenze socio-economiche dell’ambiente di provenienza e consentire anche agli alunni con minori risorse o disabilità l’accesso all’istruzione e alla cultura. Come operatori della salute mentale possiamo confermare la fatica di bambini e adolescenti in questi mesi, con il riscontro di molte regressioni nella fascia di età 2-8 anni (enuresi notturna, difficoltà nell’addormentamento, paura della morte) e manifestazioni di disagio psicologico non sempre reversibili nei più grandicelli. Chi viveva in un contesto familiare patologico, si è ritrovato ad esservi immerso H24 e a non avere più la scuola come risorsa educativa e di sostegno.[21]


Sono richiami chiari, inequivocabili. Appare davvero  sconfortante come essi siano in larga parte rimasti inascoltati e come continuino ad esserlo anche tra numerosi operatori della Scuola, i quali dimostrano così, evidentemente, una sostanziale inadeguatezza a lavorare nelle strutture scolastiche e a vestire correttamente i panni di professionisti dell’educazione.
E i rilievi, lo abbiamo visto, non vengono solo dagli ambienti psicologici e psichiatrici, oltre che pedagogici in senso lato. Lo scorso 24 aprile, ad esempio, persino l’Accademia della Crusca è intervenuta con un documento ufficiale sottolineando l’urgenza di tornare in aula per gli studenti. Riportiamo un piccolo estratto di un contributo  molto articolato:

  • L’insegnamento via web non consente di verificare con immediatezza la risposta degli studenti alla lezione e il loro grado di comprensione dei contenuti esposti.
  • La distanza rende più difficile valutare la giusta distribuzione temporale delle fasi di insegnamento e apprendimento, anche per la ridotta interazione tra chi parla e chi ascolta.
  • Si annullano, o almeno si riducono in modo essenziale, la socializzazione e il lavoro di squadra, impedendo che la classe funzioni come modello di interazione virtuosa tra i ragazzi e tra generazioni diverse in un fecondo scambio e arricchimento reciproco.
  • Si riduce la fisicità dell’insegnamento, che non riguarda solo la gestualità con cui l’insegnante accompagna le spiegazioni, sottolineandone i punti salienti o elevandone le emozioni, ma anche e soprattutto l’abilità manuale guidata fisicamente, che non può essere dimenticata nell’apprendimento della scrittura. Molti sono ormai gli studi che in tempi recenti hanno dimostrato quanto sia importante, per lo sviluppo delle capacità cognitive, conservare, nella scuola primaria, l’apprendimento della scrittura manuale, non disperdendola a favore di quella digitale.[22]

3.      Se la prudenza è priva di motivazioni scientifiche e buon senso

Per quanto riguarda, invece, gli studi scientifici sulla presunta pericolosità delle scuole aperte per la diffusione del virus mi piace partire da quanto espone sinteticamente e con la consueta chiarezza Sergio Conti Nibali.[23] Relativamente agli studi che analizzano la curva dei contagi nella popolazione infantile, ad esempio, il pediatra messinese scrive:

Cosa ci dicono i dati che riguardano i bambini e che provengono da Paesi molto diversi? Come prima cosa, è ormai certo che essi rappresentino una percentuale molto bassa dei casi documentati di COVID-19. Citiamo due studi, come esempio: i dati provenienti dalla città italiana di Vo, dove si è effettuato uno screening del 70% della popolazione, mostrano che nessun bambino di età inferiore a 10 anni è risultato positivo al tampone, nonostante un tasso positivo del 2,6% nella popolazione generale. Quasi contemporaneamente è stato pubblicato uno studio simile svolto in Islanda: anche in questo caso non sono state identificate persone COVID-positive di età inferiore ai 10 anni. Questi studi confermano quindi la “riluttanza” dei bambini a infettarsi. Nella stessa direzione vanno i risultati presentati in una Research letter pubblicata su JAMA: gli autori del lavoro concludono che i bambini, oltre ad ammalarsi di meno, si infetterebbero anche di meno e sarebbero meno contagiosi.[24]

Conti Nibali prosegue affermando che per quanto i risultati delle ricerche, allo stato attuale, non possano dirsi definitivi, essi sembrano indicare chiaramente che il ruolo dei più piccoli nella trasmissione della malattia e nel contagio nei confronti degli adulti è decisamente limitato.[25]
Una recente revisione sistematica della letteratura mostra che molto di rado il contagio parte dai bambini: gli autori ipotizzano che poiché essi, rispetto agli adulti, presentano meno sintomi da COVID-19 (come tosse e starnuti), anche la trasmissibilità dell’infezione sarebbe inferiore. Secondo gli autori è dunque improbabile che l’apertura delle scuole e degli asili porti a un incremento significativo della mortalità.[26]

Non solo. Il provvedimento di chiusura della scuola dello scorso marzo, se, nell’immediato, poteva apparire giustificato dalla drammaticità e, soprattutto, dalla scarsa conoscenza del virus, appare oggi, alla luce delle evidenze scientifiche, scarsamente produttivo. Infatti,
In una metanalisi appena pubblicata e che ha incluso 16 studi condotti in Cina, Singapore, Taiwan, l’efficacia della chiusura delle scuole nel contenimento del contagio durante le epidemie pregresse da Coronavirus (SARS, MERS) e in quella attuale è risultata sostanzialmente irrilevante. Un modello matematico applicato al Regno Unito ha evidenziato una stima massima di riduzione della mortalità del 2-4%, molto inferiore rispetto a quella ottenuta con altre misure di distanziamento sociale. Taiwan è inoltre tra i primi Paesi a essere usciti dall’epidemia dopo aver applicato diverse misure di isolamento sociale, senza però ricorrere alla chiusura generalizzata delle scuole, ma limitandosi a una sospensione delle attività interclasse, di quelle facoltative e di quelle sportive.[27]

Conseguentemente,

Tutti questi studi, le cui conclusioni vanno nella stessa direzione, supportano l’ipotesi che, anche se ci sono bambini asintomatici che frequentano le scuole, è improbabile che diffondano il contagio. Si tratta di osservazioni che mettono in seria discussione l’efficacia della chiusura degli istituti scolastici come misura per ridurre la mortalità dell’epidemia.[28]

Considerazioni analoghe, del resto, sono espresse nel manifesto degli psicanalisti citato in precedenza, che basa anch’esso le sue conclusioni sulla più aggiornata letteratura pediatrica ed epidemiologica:

Gli studi sulla possibilità di infettarsi e trasmettere l’infezione da SARAS-CoV-2 da parte di bambini e ragazzi sono ancora in evoluzione, ma la maggior parte di questi offre dati rassicuranti. Al momento i bambini e gli adolescenti rappresentano solo l’1–5% dei casi diagnosticati di COVID-19 e almeno il 90% hanno una malattia asintomatica o lieve (2,3). I bambini che sembrano essere a più alto rischio di malattia più grave sono i neonati di età inferiore all’anno, quelli che hanno condizioni mediche particolari o che assumono terapie immunosoppressive.
Recenti studi  affermano che i bambini sono meno portatori e sono meno contagiati. I bambini esprimono meno il recettore ACE2 – quello che il virus SARS-CoV-2 usa per infettare le cellule che rivestono la mucosa del naso e per questo si infetterebbero di meno, si ammalerebbero di meno e sarebbero anche meno contagiosi rispetto agli adulti. Su Acta Paediatrica  è uscita recentemente una revisione sistematica che esamina gli aspetti di trasmissione Covid-19 dai bambini. Si osserva, grazie agli studi sulla trasmissione nelle famiglie, che raramente il contagio parte dai bambini. L’autore (Jonas F Ludvigsson) conclude affermando che sembra improbabile che l’apertura delle scuole e degli asili possa portare a un incremento significativo della mortalità.[29]


Questo, sia chiaro, non significa ritornare a scuola come se nulla fosse. Occorrono misure precauzionali, ovviamente, ma ispirate all’ottimismo della scienza e al buon senso. Ancora Conti Nibali:

Alcune precauzioni, ovviamente, devono essere osservate: ad esempio lavarsi accuratamente le mani; vigilare affinché gli alunni con sintomi di malattia (febbre, raffreddore, tosse, vomito, diarrea…) non frequentino le lezioni; arieggiare frequentemente le aule e privilegiare la didattica all’aperto o in ambienti spaziosi, utilizzando anche nuove risorse in accordo con il territorio comunale (biblioteche, musei, parchi…). Al contempo, sarebbe importante rivedere alcune indicazioni recentemente fornite dal Comitato Tecnico Scientifico riguardo all’uso delle mascherine per i bambini della scuola primaria: tale misura, peraltro molto difficile da mettere in pratica in maniera corretta per tutte le ore di permanenza in classe, sembra sproporzionata rispetto alle evidenze scientifiche.[30]

E Conti Nibali conclude anch’egli con un monito chiaro, che sottolinea l’assoluta urgenza del ritorno a una scuola a misura di studente:

Allo stato attuale delle conoscenze, è dunque auspicabile che le scuole riaprano senza ulteriori ripensamenti. Non si possono ignorare, infatti, le evidenze che si stanno accumulando su eventuali danni collaterali provocati nei bambini dal lockdown e soprattutto dalla chiusura prolungata di servizi educativi e scuole. Oltre al ritardo didattico, sono emerse preoccupanti manifestazioni di disagio psicologico, derivanti dalla prolungata mancanza di occasioni educative e di tempi adeguati di socializzazione. 
È urgente far ripartire la scuola, se si vuole arginare una crisi educativa e sociale che rischia di avere pesanti conseguenze per tutti i bambini. La sospensione delle attività scolastiche e il successivo isolamento hanno determinato infatti una significativa alterazione della vita sociale e relazionale di bambini e ragazzi, determinando al contempo un’interruzione dei processi di crescita in autonomia e di acquisizione di competenze e conoscenze, con ricadute educative, psicologiche e di salute che non vanno sottovalutate. 
La scuola è il contesto in cui viene data la possibilità a ogni bambino di crescere e svilupparsi in modo ottimale. Nel nostro Paese, ancora oggi, si registrano profonde disuguaglianze sociali: dei 9.700.000 soggetti in età compresa tra 0 e 18 anni, 1.600.000 vivono in condizioni di povertà. Inoltre, circa 1.000.000 di individui in età evolutiva ha necessità assistenziali complesse; tra questi intorno al 20% presenta problemi neuropsichiatrici. La scuola, in tutti questi casi, costituisce un sostegno fondamentale, poiché non è soltanto un luogo di apprendimento, ma anche di protezione sociale, di promozione della salute e di supporto emotivo. 
Le chiusure scolastiche generalizzate come risposta alla pandemia hanno rappresentato un rischio senza precedenti per l’educazione, la protezione e il benessere dei bambini.[31]

Sono numerosi i contributi che vanno nella stessa direzione. Alcuni, peraltro, sono citati nelle due principali fonti prese in considerazione in questo paragrafo. Piuttosto che proseguire con il loro elenco, però, credo opportuno chiudere con i risultati di un recentissimo sondaggio lanciato dal Dipartimento di Salute Pubblica dell’Istituto Mario Negri IRCCS.[32] L’indagine, ha visto come protagonisti gli alunni, costretti a fare video-lezioni, e i loro genitori, che hanno dovuto accompagnarli in questa avventura, conciliando l'impegno imprevisto, spesso con lo smart-working. L’indagine nazionale, diffusa nella settimana tra l’8 e il 15 maggio 2020 era rivolta alle mamme di ragazzi che frequentano la scuola primaria e secondaria di primo grado. Dalle 1601 risposte è emerso che:

[…] più della metà delle mamme risiedeva in Lombardia, la regione più colpita dal SARS-CoV-2 in Italia; c’è stata una risposta maggiore nel Nord rispetto al Sud, come d’altronde anche la distribuzione dei casi positivi di Covid-19; la maggioranza delle donne è rappresentata da lavoratrici in smart working e mamme di alunni delle elementari; è stato difficile conciliare gli impegni lavorativi con quelli DaD dei figli, anche a causa del diminuito aiuto dei nonni o di altre figure in supporto; per alcuni è stato complicato utilizzare la DaD, anche perché in alcuni casi c’era la necessità di condividere spazi, strumenti e tempi con fratelli e sorelle; un terzo dei bambini ha avuto difficoltà con le tecnologie e con la programmazione/gestione delle lezioni; un terzo degli alunni delle elementari non riusciva a rimanere concentrato davanti allo schermo per più di 20 minuti, generando quindi agitazione e impetuosità nei più piccoli mentre ansia negli alunni delle medie; gli alunni più fragili sono stati trascurati.[33]

Risultati, dunque, sostanzialmente negativi. Specie se messi in relazione con alcune situazioni particolari. Lo studio, infatti,  ha riguardato in maniera più approfondita anche gli studenti disattenti e iperattivi assistiti dal Centro Regionale ADHD dell’Ospedale Santi Paolo e Carlo di Milano. Gli alunni di cui si parla sono quelli che già durante le normali attività in classe mostrano difficoltà ad adattarsi ai ritmi scolastici. La ricerca ha preso in esame un campione di 92 bambini con ADHD confrontati con bambini senza tale disturbo. Anche in questo caso, i risultati del sondaggio hanno evidenziato gli svantaggi della DAD, ovvero:

[…] perdita del contesto spaziale, sociale e temporale; distanza fisica dagli insegnanti; l’assenza di feedback non verbali (sguardo, contatto fisico); la distrazione generata dallo strumento didattico; la scarsa attrazione di interesse degli strumenti e modalità d’uso del materiale didattico.
Quattro le conclusioni tratte da tutte le informazioni raccolte: i bambini delle scuole elementari sono stati quelli che hanno incontrato più difficoltà; la DAD poteva essere organizzata meglio riguardo alla gestione e alle proposte educative/formative; i genitori sono stati troppo coinvolti; gli alunni più fragili con ADHD sono purtroppo stati i più esclusi.[34]

Maurizio Bonati, responsabile del Dipartimento Scuola dell’Istituto Mario Negri, commenta così i risultati della sua indagine: “A essere penalizzati gli alunni delle prime classi elementari che hanno vissuto una scuola che non è né luogo né tempo. E saranno loro, più che i ragazzini delle medie a pagarne le conseguenze. Per non parlare degli alunni fragili che sono stati abbandonati […] Il diritto allo studio non è stato garantito a tutti gli scolari e questo ha creato ulteriori diseguaglianze”.[35] Chiaramente, il riferimento di Bonati rimanda anche agli studenti disabili, che durante la fase della DAD, hanno visto acuirsi in modo esponenziale le loro difficoltà, pur supportati, nella maggior parte dei casi, dalle famiglie e da un impegno notevole da parte degli insegnanti di sostegno.


4.      Conclusioni


Alla luce di quanto esposto, credo si possa affermareche la scuola – e sento di scrivere un’ovvietà, ribadita centinaia di volte – come fatto notare anche nel presente contributo –  in questi mesi da pedagogisti, pediatri, psicologi e intellettuali di varia estrazione e provenienza – esiste solo nella dimensione della relazione viva e concreta tra tutti i suoi attori: alunni, docenti, dirigenti, segreteria, personale ATA. E tale relazione può avvenire solo in presenza. Diversamente, non è scuola. Se ne facciano una ragione smartworkisti, teorici dell’emergenza ad oltranza, colleghi crocifissi dalla paura. La didattica a distanza è stata una misura emergenziale straordinaria e tale deve restare. Ci ha consentito di affrontare in qualche modo una situazione per la quale nessuno era preparato, okay. Ma basta. E dal momento che la Storia, drammaticamente, ci insegna che le misure prese nelle fasi emergenziali tendono a restare in atto anche ad emergenza conclusa, il mondo della Scuola deve farsi sentire e anche tanto.
E, a proposito di distanziamento, parto da quest’ultimo aspetto per illustrare alcuni punti fermi sulla ‘ripartenza’, quali sembrano emergere dalle evidenze riportate nel presente contributo:

1 – La scuola è una comunità educante che, dal nido all’università, esiste solo ed esclusivamente in
presenza. Ogni altra soluzione deve essere rigettata fermamente.
2 – Il contenimento dei rischi epidemiologici, ovviamente, è opportuno. Tuttavia, deve essere chiaro che in nome di tale obiettivo non si devono sacrificare altri aspetti altrettanto fondamentali, quali una sana relazionalità e la cura nei confronti dei bisogni che vanno oltre quello del semplice ‘restare in vita’. Diversamente, ripeto, corriamo il rischio di superare l’emergenza ma di creare problemi che sopravviveranno ben oltre la fine della stessa.
3 – Va posta grande, grandissima attenzione nei confronti dei rischi insiti in talune misure precauzionali che sembrano voler essere prese per affrontare la riapertura della Scuola ‘in sicurezza’: ci riferiamo, in particolare, a soluzioni quali divisori o gabbiotti in plexiglass per i ragazzi più grandi, e a spazi delimitati in cui i bambini lavorino o studino da soli, mascherine durante le attività didattiche. Soluzioni inutili e dannose, che tenderebbero a innescare processi di isolazionismo e atomizzazione fortemente nefasti sul piano della crescita e dello sviluppo delle capacità relazionali. La salvaguardia dal virus non può e non deve incidere, più di quanto ha già fatto in pochi mesi, sul rapporto di fiducia che l’essere umano deve avere nei confronti del suo prossimo. Specie in una fase delicata come quella dell’età dello sviluppo.
Diversamente, ci saranno conseguenze che rasenteranno quelle di un vero e proprio mutamento antropologico verso il quale guardo con terrore.
4 – Va espresso un deciso ‘No’ ad atteggiamenti estremi nei confronti di chi tra gli studenti dovesse accusare improvvisamente sintomi influenzali o similari durante le attività scolastiche. È sufficiente quello che si è sempre fatto: avvisare la famiglia, fare un permesso di uscita e mandare il ragazzo a scuola accompagnato da un famigliare.  
5 – Infine, ma qui – me ne rendo conto – siamo in un terreno più utopico (nel senso positivo del termine) speriamo che questa drammatica esperienza serva per ripensare a fondo la natura della Scuola nel nostro Paese e il ruolo imprescindibile che essa svolge per la società, auspicando una serie massiccia di interventi sul piano strutturale: dall’edilizia scolastica all’assunzione di nuovo personale, passando per una rivisitazione di aspetti quali un tetto massimo di 15-20 alunni per classe, ad esempio (soluzione che andrebbe anche nella direzione di evitare sovraffollamenti che potrebbero facilitare la diffusione di questo o di altri virus).

Al di là delle dichiarazioni programmatiche, in ogni caso, quello che conta è prendere coscienza di un’ovvietà, che però, forse proprio perché ovvia, mai ho percepito così trascurata come negli ultimi mesi: la Scuola prepara gli uomini di domani. Sta a noi decidere a quale umanità consegnare il destino dei nostri figli e dei nostri nipoti.




[1] Il contenuto della breve premessa e della conclusione del presente contributo riprendono la prima e l’ultima parte di un articolo che lo scrivente ha pubblicato per la testata on line “Messinatoday”: C. Natoli, Stop alla didattica a distanza, il prof. Natoli dà vita a un movimento con cinque comandamenti, in “Messinatoday”, 8 giugno 2020 (ultima consultazione 11/07/2020)
[2] M. Recalcati, La Scuola in terapia intensiva, “La Repubblica”, 19 giugno 2020 (ultima consultazione 10/07/2020 in http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/la-scuola-in-terapia-intensiva.flc)
[3] Ibidem
[4] Cfr. Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione (ultima consultazione 10/07/2020 in   https://www.miur.gov.it/web/guest/-/scuola-presentate-le-linee-guida-per-settembre)
[5] C. Palma, “Ce lo dice la scienza”. Il principio di autorità come alibi autoritario, in “Strade. Verso luoghi non comuni”, 27 maggio 2020, (ultima consultazione 11/07/2020 in https://www.stradeonline.it/scienza-e-razionalita/4227-ce-lo-dice-la-scienza-il-principio-di-autorita-come-alibi-autoritario#)
[6] Ibidem
[7] Ibidem. Evitiamo, in questa sede, di soffermarci sui rilievi di incostituzionalità mossi all’Esecutivo nei mesi scorsi da parte di illustri giuristi e presidenti emeriti della Corte Costituzionale. Si tratta di una prospettiva che ci porterebbe fuori tema. Sulla politica che non si assume la responsabilità della scelta mi limito a rimandare il lettore a quanto scrive lo stesso Carmelo Palma in L’alibi e l’espertocrazia. La politica decida e non appalti il suo potere agli scienziati, “Linkiesta”, 20 aprile 2020 (ultima consultazione 12/07/2020 in https://www.linkiesta.it/2020/04/coronavirus-italia-comitato-tecnico-scientifico/?fbclid=IwAR3gDTUw3ESvY98rWpBUx7rYYhpdRTqZs4sN49cvY5UBrGE0nmbxoy0HiIE
[8] G. Agamben, Requiem per gli studenti, in “Diario della crisi”, a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 23/05/2020 (ultima consultazione 11/07/2020 in https://www.iisf.it/index.php/attivita/pubblicazioni-e-archivi/diario-della-crisi/giorgio-agamben-requiem-per-gli-studenti.html?fbclid=IwAR3NAOWn-o-2E0mNzY58_jjp6UMICW_4tBlI92s4MmPNNCh_wzz_YIzWsbI)
[9] Ibidem
[11] G. De Rita, Comunicare la paura ha accentrato il potere,  in “huffingtonpost.ir”, 12 maggio 2020 (ultima consultazione 11/07/2020 in https://www.huffingtonpost.it/entry/giuseppe-de-rita-comunicare-la-paura-ha-accentrato-il-potere_it_5eba4114c5b687934c596f70?fbclid=IwAR1G9C2cdwVkT0tAEF7qec2jYyWApFZnWLXIsrjDw7sFqNQ3qvAmf6Ec9oc
[12] P. Crepet, Intervista radiofonica a La 7, disponibile in (https://www.la7.it/coffee-break/video/scuola-i-docenti-in-protesta-al-ministero-bocciano-la-ministra-azzolina-09-06-2020-329372, ultima consultazione 11/07/2020)
[13] L’allarme di psicologi e psichiatri, Maggio 2020 (ultima consultazione 12/07/2020 in https://comunicatopsi.files.wordpress.com/2020/05/comunicatopsi.pdf)
[14] Ibidem
[15] Ibidem
[16] Ibidem
[17] Ibidem
[18] M. Florita, C. Maspero, L. Lietti, G. Petrilli, V. Pirro, G. Tonetto, A. Merisio, C. Proserpio, S. Zanolini, M. Mallardi, Alcune riflessioni sul ritorno a scuola dei bambini, 6 luglio 2020 (ultima consulazione 12/07/2020 in https://psicoanalisimilano.it/manifesto-scuola-psicologia-bambini/?fbclid=IwAR2xjbdwf2Zs6qFYqV_HT5FjMaK6UJ3br8f4CJeixj1HOOhrmR4OrWZqeU8). Di tale contributo appare utile riportare anche la relativa bibliografia e nella formattazione editoriale originaria, per facilitare la eventuale consultazione degli addetti ai lavori: https://acp.it/assets/media/download/Quaderni_acp_2020_272_PE_am1.pdf, Tezer H, Bedir Demirdağ T. Novel coronavirus disease (COVID-19) in children; Turk J Med Sci 2020;50(SI–1):592–603. doi: 10.3906/sag-2004-174; CDC COVID-19 Response Team. Coronavirus disease 2019 in children – United States, February 12-April 2, 2020. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2020;69(14):422–26. doi: 10.15585/mmwr.mm6914e4; http://www.rfi.fr/en/france/20200604-french-covid-19-study-finds-children-far-less-contagious-than-adults; Supinda Bunyavanich, MD, MPH; Anh Do, PhD; Alfin Vicencio, MD. Nasal Gene Expression of Angiotensin-Converting Enzyme 2 in Children and Adults. JAMA. Published online May 20, 2020. doi:10.1001/jama.2020.8707; Ludvigsson JF. Children are unlikely to be the main drivers of the COVID-19 pandemic – a systematic review [published online ahead of print, 2020 May 19]. Acta Paediatr. 2020
[19] Ibidem
[20] Ibidem
[21]  Ibidem
[22]  R. Librandi, C. Giovanardi, F. Sabatini, Documento per la ripresa della vita scolastica, 24 aprile 2020, (ultima consultazione 11/0772020 in https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/documento-per-la-ripresa-della-vita scolastica/7925)
[23] S. Conti NibaliRiapertura delle scuole: cosa dicono gli studi, in “Uppa.it” (ultima consultazione 10/07/2020 in https://www.uppa.it/educazione/scuola/riapertura-delle-scuole-cosa-dicono-gli-studi/?fbclid=IwAR1QOiBWLD5jdDdVNNIOVXGoj201P6YMEh1NgV10gZw5ZH29z9owvnuVC80). Un lavoro che, peraltro, nella versione che Sergio Conti Nibali mi ha personalmente fatta pervenire come documento di supporto del gruppo facebook “Scuola in presenza”, rimanda a una serie di riferimenti bibliografici che mi sembra opportuno elencare di seguito e nella formattazione editoriale originaria, per gli stessi motivi spiegati alla nota 18: Ludvigsson JF. Children are unlikely to be the main drivers of the COVID-19 pandemic - a systematic review [published online ahead of print, 2020 May 19]. Acta Paediatr. 2020; Luo L, Liu D, Liao X, et al. Modes of contact and risk of transmission in COVID-19 among close contacts. medRxiv 26 March 2020; Choi SH, Kim HW, Kang JM, Kim DH, Cho EY. Epidemiology and clinical features of coronavirus disease 2019 in children. Clin Exp Pediatr. 2020;63(4):125‐132; Zhu Y, Bloxham CJ, Hulme KD, et al. Children are unlikely to have been the primary source of household SARS-CoV-2 infections SARS-CoV-2. medRxiv 2020: 2020; Viner RM, et al. School closure and management practices during coronavirus outbreak including Covid-19: a rapid systematic review. Lancet Child Adolesc Health 2020;4 (5):397-404; Danis K, Epaulard O, Benet T, et al. Cluster of coronavirus disease 2019 (Covid-19) in the French Alps, 2020; National Center for Immunization Research and Surveillance. COVID-19 in schools: the experience in New North Wales, April 26 2020 (http://ncirs.org.au/covid-19-in-schools consultato il 28 maggio), 2020; https://dontforgetthebubbles.com/evidence-summary-paediatr.../; Gudbjartsson DF, et al. Spread of SARS-CoV-2 in the Icelandic population.N Engl J Med 2020, April 14 [Epub ahead of print]; Bunyavanich S, Do A, Vicencio A. Nasal Gene Expression of Angiotensin-Converting Enzyme 2 in Children and Adults. JAMA. Published online May 20, 2020; https://acp.it/it/2020/05/pagine-elettroniche-di-qacp-2020-272.html; http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-dir.../articolo.php...
[24] Ibidem
[25] Emblematico il seguente  passaggio, in tal senso: “Sono ormai numerosi i report che descrivono una molto ridotta possibilità di trasmissione del virus tra bambini e da bambini a adulti: in Francia, un bambino di 9 anni che, con i sintomi di COVID-19, aveva frequentato 3 diverse scuole non ha contagiato nessuno dei suoi 112 contatti scolastici. Un altro studio realizzato in Australia ha descritto il caso di 9 studenti delle scuole primarie e superiori e di 9 insegnanti con infezione da COVID-19 che hanno avuto contatti con 735 studenti e 128 dipendenti: solo 2 bambini hanno contratto la malattia, e nessun insegnante. In Svezia, dove le scuole non sono state chiuse, non ci sono notizie di focolai di COVID-19 all’interno delle comunità scolastiche” (ibidem)
[26] Ibidem
[27] Ibidem
[28] Ibidem
[29] M. Florita, C. Maspero, L. Lietti, G. Petrilli, V. Pirro, G. Tonetto, A. Merisio, C. Proserpio, S. Zanolini, M. Mallardi, Alcune riflessioni sul ritorno a scuola dei bambini, cit.
[30] S. Conti NibaliRiapertura delle scuole: cosa dicono gli studi, in “Uppa.it”, cit.
[31] Ibidem
[32]  Se ne possono leggere i risultati sintetici in Didattica a distanza a causa del Covid-19. Strumento adatto a tutti? 10 luglio 2020 (ultima consultazione 12/07/2020 in https://www.marionegri.it/magazine/didattica-a-distanza)
[33] Ibidem
[34] Ibidem
[35] Ibidem

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