domenica 28 giugno 2020

Il virus e l'alibi per l'impotenza


Prima era solo un'impressione. Via via è diventata sempre più forte ed oggi è quasi una certezza.
Ma andiamo per ordine. Chi ha sofferto maggiormente durante la fase più dura delle restrizioni causate dal Covid-19? Ovviamente i malati, quelli che non ce l'hanno fatta, il personale sanitario. E poi tutti coloro che hanno ricevuto uno schiaffo terribile dal punto di vista economico, chi ha perso il lavoro, chi ha visto vanificati i propri progetti. Su questo non ci sono dubbi. Così come è certo che tutti quelli che contavano su cure specifiche in presenza - penso ad esempio ai pazienti delle terapie psicoterapeutiche o ai malati cronici di altre patologie - si sono visti 'scavalcati' e messi da parte in nome della priorità incombente del virus.
Ma, sul piano umano, dal punto di vista antropologico, chi è che ha pagato di più? Anzi, rovescio la domanda, tanto il problema non cambia: chi è che ha sofferto di meno? Ebbene, ha sofferto di meno chi aveva già un brutto rapporto col prossimo. Vi sembra una frase forte? Okay, provo a dirla diversamente. Ha sofferto meno chi è poco empatico e poco 'aperto' nei confronti dell'altro. Forse così va meglio. Chi di noi non conosce persone di questo tipo? Nessuno, credo. Chi di noi non sa che esistono uomini e donne che sono diffidenti nei confronti di chi non conoscono, che ti danno a stento la mano, che se vai per salutarli con un bacio diventano delle statue di sale? Ecco, non voglio essere presuntuoso - ripeto, è solo la mia opinione - ma queste persone hanno sofferto di meno, secondo me. Sono state a loro agio sui divani, davanti alla televisione, magari sottoponendosi alla banale ma al tempo stesso riuscitissima operazione di programmazione neurolinguistica attuata dal mainstream. Magari sono state pure tra coloro che additavano gli 'untori' nel runner, nella mamma col bambino, nei giovani dello spritz e della 'movida'. Insomma, parafrasando una canzone di molti anni fa e che mi piace molto, la loro "impotenza ha trovato un alibi".
La conferma di questo personale 'sentire' mi è venuta dal mio ambito professionale. Nel mondo della scuola, infatti, è in atto una sorta di contrapposizione manichea (tutta italiana, per certi versi) tra chi si batte per il ritorno alla didattica in presenza e chi loda, o comunque considera efficace e opportuna anche in futuro, la didattica on line. Ecco, posso garantirvi che, a parte una sparuta minoranza di ottimi docenti che hanno 'solo' paura del virus e che hanno sempre fatto benissimo il loro lavoro, esiste una maggioranza tra i sostenitori della DAD che - e mi assumo la responsabilità di ciò che dico - degli studenti non se ne catafotte nulla. Lo riscrivo, a scanso di equivoci: alla maggior parte di coloro che tifano per la DAD dei ragazzi non importa nulla. Ma non adesso, pure prima. Li conosco, li ho guardati negli occhi, ho ascoltato con le mie orecchie ciò che pensano. Molte volte ho sentito dire da colleghi frasi come le seguenti: "voglio cambiare mestiere", "io i ragazzi non li sopporto", "a questi li odio". Questo i più spontanei. I più subdoli certe cose non le dicono ma il loro atteggiamento traspare da come si comportano o da quanto gli studenti li detestino. Ciò che scrivo mi attirerà altri strali da molti colleghi, ma questa volta sono io a catafottermene. Ma chiudiamo la pur illuminante, a mio avviso, parentesi scuola e proviamo a concludere.
Chi ha trovato nel virus l'alibi della propria impotenza relazionale farebbe forse bene a riflettere su questa sua problematica e a capirne le cause. Forse è solo un tratto della propria personalità, ma anche no. Di sicuro, però, la smetta di provare a trasformare i propri tratti disturbati e disturbanti nella legittimazione di politiche - sanitarie e non - a dir poco preoccupanti e nei confronti della quali chi ama l'umano guarda con terrore.

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