domenica 9 aprile 2023

DEL PROGRESSISTA MEDIO



È abbastanza interessante analizzare cosa porta quello che mi piace definire il progressista medio (uso il termine progressismo, qua, in una veste critica e degenerativa, diciamo così, a fronte di un valore originario positivo a cui rimango fedelmente legato); cosa lo porta, dicevo, ad innamorarsi di alcuni personaggi pubblici, consegnandosi giulivamente e quasi acriticamente alle loro posizioni. Non è un’operazione entusiasmante, certo, ma interessante sì.
Si potrebbe dire molto ed è impossibile essere esaustivi (ammesso che io ne abbia la capacità) specie se lo si fa in poche righe. Forse, però, si può suggerire qualche spunto.
Ci provo, riprendendo anche alcuni temi trattati in un mio libro due anni fa.

Tendo a pensare che esista, oggi, qualcosa di abbastanza radicato nell’autopercezione del progressista medio. Una percezione che lo porta a ritenersi appartenente ad una genìa elevata, il cui compito è prendere le distanze, quando non bastonare, i minus habens, i trogloditi, e così via. Comprensibile, per carità, e a volte anche legittimato da posizioni oggettivamente indifendibili della controparte di turno. Tuttavia, negli anni abbiamo assistito ad una trasformazione di tale tipologia. Un tempo, infatti (diciamo sino a trent’anni fa) tali soggetti non esitavano ad andare controcorrente; anzi, era quasi sempre così. Le masse si bevevano la prima narrazione e toccava a chi aveva – in via presunta - più strumenti critici andare oltre e smascherare l’ipocrisia, la superficie, le posizioni ufficiali. La trasformazione cui accennavo, invece, ha rovesciato la situazione: chi sa (chi dovrebbe sapere), chi capisce (chi dovrebbe capire), accetta il già detto e l’autorità, prendendo ironicamente, quando non violentemente, le distanze da chi non lo fa. Ne è un esempio il debunking selvaggio, che nella caccia al bufalaro ha assunto toni ancora più grotteschi del bufalaro vero e proprio. Ma ne è un esempio, in tal senso, anche l’usanza di blastare i webeti. Due neologismi molto tristi. Per chi non lo sapesse, significa distruggere, umiliare con sarcasmo, insultare i presunti ebeti del web. Ci sono alcuni personaggi che di questa hanno fatto quasi la loro attività principale. Peccato che ad essere oggetto del loro blasting non sono solo i presunti webeti, ma anche medici, giornalisti, filosofi, scienziati. Tutti, insomma; basta che siano contrari a ciò che essi sostengono.

La cosa veramente triste però - e torno all’inizio del post – è che questo tipo di personaggi incontra anche un certo favore. Specie in quelli che, non riconoscendosi appunto nei ‘trogloditi,’ vedono nei personaggi in questione qualcuno che incarna il loro bisogno, più o meno consapevole, di sentirsi una elité; di appartenere ad una razza elevata, superiore, per casta o censo (o semplicemente perché fa figo) che nulla ha a che fare con gli ignoranti. Con gli ignoranti e con il ‘popolino’ non c’è speranza, pensano. E si consegnano al tecnico, all’esperto, specie se fresco di parrucchiere, ben vestito, con i tempi televisivi giusti; e, soprattutto, dalla parte della narrazione dominante, della quale è spesso un convinto cantore ed apologeta. Perché è questo il cuore della questione: il sapere, nel dibattito civile, non sembra più essere al servizio della ricerca della verità oltre l’apparenza ma della legittimazione di quest’ultima. Chi non ci sta è un terrapiattista, uno sciechimista, un novaxista, un cisonoipoteriforti, e così via. Certo, già detto tante volte, le menti fragili che vedono streghe dappertutto ci sono (anzi, la loro presenza è spesso funzionale a dare ulteriore forza alla narrazione dominante). Ma dentro questi facili e preconfezionati calderoni si finisce per mettere anche chi fragile non lo è affatto, anzi.

Potremmo continuare, e a lungo. Mi fermo qua. Mi limito a concludere citando Pasolini. Lui aveva compreso (ed eravamo ancora ‘solo’ nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta) che la mutazione antropologica degli italiani, consistente nella graduale perdita di una purezza arcaica della cultura popolare, stava creando una classe e una cultura media corrotta e corruttrice. Direi che oggi, probabilmente, abbiamo a che fare con l’ultimo prodotto di quella mutazione.

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