Il suono dell'anima

domenica 23 maggio 2021

La Lingua madre della Corelli Jazz Band


La formazione messinese ospite della Filarmonica Laudamo  al Teatro Vittorio Emanuele


Ripartono col piede giusto i concerti dal vivo della Filarmonica Laudamo di Messina. Nell’anno in cui taglia il prestigioso traguardo delle cento stagioni, il sodalizio peloritano ha dovuto fronteggiare, come tutti gli operatori della cultura e dello spettacolo, mesi difficili di chiusure ed eventi in streaming, a causa dell’emergenza sanitaria. C’era dunque grande attesa per il concerto della “Corelli Jazz Band”, che è salita sul palco del Teatro Vittorio Emanuele (coproduttore dell’evento insieme al Conservatorio di Messina). A dirigere la compagine musicale, nata nel 2012 in seno al dipartimento di musica jazz del Conservatorio “Corelli”, le esperte mani di Giovanni Mazzarino. La band si è resa protagonista di un’ottima performance, dimostrando di muoversi perfettamente a suo agio nel repertorio proposto (brani, nell’ordine di presentazione, di Steve Swallow, Enrico Pieranunzi, Gerorge Gershwin, Gianni Basso, Giovanni Mazzarino, Richard Rodgers, Dizzy Gillespie, Victori Young, Jimmy McHugh e Jerome Kern). Anzi, l’impressione che i musicisti hanno dato è stata quella di parlare una sorta di lingua madre; e, in quanto tale, di sciorinarla con naturalezza e proprietà di linguaggio, sia stilistica che espressiva. Sembrava che non vedessero l’ora di parlarla questa lingua e di comunicare in presenza con il pubblico. Su quest’ultima impressione, confesso, non so quanto incidano le proiezioni personali dell’autore di queste brevi note e i suoi desideri di assistere finalmente a un concerto dopo tanto tempo. Sono certo, però, che si è trattato di emozioni ed aspettative condivise con il pubblico e con i responsabili della Filarmonica Laudamo, che a questa ripresa hanno dedicato uno sforzo enorme. 
Convincenti, quindi, le esecuzioni della Corelli Jazz band: trascinante nei brani in cui è lo swing a farla da padrone ma anche attenta agli equilibri sonori e alle sfumature agogiche in quelli più espressivamente delicati. Bravi tutti i musicisti, ottimamente guidati da Mazzarino (del quale è evidente il robusto lavoro di concertazione), anche se meritano una menzione speciale le due cantanti Rossella D’Andrea e Floriana Papa, che hanno messo in mostra ottima sensibilità e voce coinvolgente in due dei pezzi protagonisti della serata (“Bewitched” e “I can’t give you anithing but love”), e il sassofonista Orazio Maugeri, splendido solista in My foolish heart”. 
Applausi convinti del pubblico, al termine, e richieste, accontentate, di fuoriprogramma.
alle maggio 23, 2021 Nessun commento:
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lunedì 10 maggio 2021

L’essenzialità del superfluo – di Luciana Apicella e Sara Gandini

  

L’essenzialità del superfluo – di Luciana Apicella e Sara Gandini



Quando comincio un corso di filosofia per il triennio delle superiori, una delle prime cose che dico ai ragazzi è che la filosofia non serve a nulla. Si tratta, ovviamente, di una provocazione. L'intento è infatti quello di sottolineare il valore formativo della riflessione critica, sganciata da qualsiasi utilità 'pratica', nel senso superficiale del termine. 
Pensavo a questa cosa mentre leggevo l'interessantissimo contributo scritto da Luciana Apicella e Sara Gandini che mi permetto di riportare di seguito. Anch'esso sottolinea l'importanza - anzi, l'essenzialità appunto - di ciò che generalmente viene indicato come 'superfluo'. E non è un caso, credo, se l'attuale tessuto sociale di molti Paesi occidentali (Italia in primis) - così povero e bisognoso di filosofia - sia diventato un terreno di coltura ideale per l'atteggiamento paternalistico e autoritario dei Governi che hanno gestito e stanno gestendo l'emergenza sanitaria. Ne è un esempio lampante il 'coprifuoco', alla cui valenza simbolica sono rivolte le attenzioni di Apicella e Gandini. Con una parola non a caso tratta dalla terminologia bellica - e sappiamo quanto male abbia fatto e continua a fare in questi mesi l'utilizzo della metafora della guerra per la lotta al Virus - si vuole infatti sottolineare un aspetto che va al di là della presunta utilità (le autrici lo dimostrano anche con precisi riferimenti bibliografici) del coprifuoco stesso ai fini del contenimento del contagio. La misura assume invece il volto di una sorta di monito moralistico: un invito a 'tenere il lutto', da un lato (della serie: ci sono i morti, cosa vai a festeggiare e bivaccare di sera?) e, dall'altro - soprattutto - di eliminare il 'superfluo' dall'orizzonte delle nostre esistenze. Se, poi, i dati mostrano chiaramente che i contagi avvengono principalmente in contesti estranei al 'superfluo' stesso (lavoro e famiglia) poco importa: l'importante è eliminare il 'superfluo'. Purtroppo, però, l'uomo è tale, ad esempio nel suo differenziarsi dall'animale, proprio perché fa cose 'inutili'. La filosofia, ad esempio. Ma anche l'arte, che giustamente Oscar Wilde considerava, facendole un complimento, "completamente inutile". E come sottolineano da più di un anno voci autorevoli, ad esempio quella di Giorgio Agamben, ridurre le nostre esistenze alla semplice difesa del bios è una cosa aberrante e gravida di conseguenze nefaste. Siamo forse ancora in tempo ad evitarle. Ammesso che se ne parli sempre più.  




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Nei lunghi mesi dell’emergenza sanitaria, accanto alle sacrosante e universalmente condivise disposizioni per arginare il contagio – riassumibili nelle linee guida dell’OMS di distanziamento interpersonale, igiene delle mani, adeguato utilizzo di dispositivi di protezione individuale – sono stati adottati una serie di altri provvedimenti più ascrivibili alla sfera del mandato morale che non a quella dell’efficacia sanitaria, quantificabile e dimostrabile, delle coercizioni stesse, in una logica di progressivo restringimento dell’esistenza allo spazio dell’essenziale. Gli spazi del superfluo, insomma, sono stati progressivamente erosi, in quanto sacrificabili senza – almeno all’apparenza – eccessivi costi, limitando l’esistenza ai movimenti essenziali, tradotti per lo più nel tragitto casa-lavoro-casa. A nulla vale eccepire che gli spazi citati siano poi quelli che si sono dimostrati maggiormente impattanti in termini di diffusione del contagio, coi focolai domestici e lavorativi che rappresentano una fetta importante del totale: a chi voglia enunciare questo dato, ormai ampiamente dimostrato, si controbatte che il virus è stato portato comunque da “fuori”, intendendo con il “fuori” lo spazio della socialità extra-familiare ed extra-lavorativa, superflua, appunto, e anzi colpevolmente orientata alla ricerca del piacere. Nessuno si domanda per quale motivo il movimento dovrebbe essere unidirezionale: chi ha portato il virus in quel “fuori? Il fuori è sempre e comunque colpevole, nessuna possibilità di appello.

Alla medesima sfera etica pertiene, oggi, la querelle sul coprifuoco, accettata come misura da difendere ad ogni costo da una fetta importante di popolazione, anche al di là dell’efficacia sanitaria, della quale raramente viene chiesto conto: lo spazio della sera è lo spazio del superfluo, quindi del sacrificabile, cui peraltro a cascata si sommano una serie di effetti secondari giudicati desiderabili, in un’ottica di decoro: niente più schiamazzi notturni, niente più frotte di giovani per strada, niente più “evasione”, poiché il momento chiede contrizione, rispetto, una sorta di lutto interiore da manifestare sempre e comunque, come simbolo di adesione, e finanche strategia laterale, ma efficace,  alla lotta contro il virus. Chi osa manifestare nostalgie di quegli attimi in cui, svestiti gli abiti del lavoro, si entra in una dimensione di tempo differente, fatta di lentezza, condivisione, socialità, svago, viene bollato sbrigativamente con i più fantasiosi epiteti.

Un’interessante convinzione che si è radicata, circa il coprifuoco, è quella che la sua efficacia abbia una sorta di auto-evidenza, che non importa dimostrare, per il fatto che “ce l’hanno tutti”: questo d’altra parte è il messaggio che viene veicolato dalla quasi totalità dei media. Abbiamo voluto fare una ricerca per capire se l’assunto fosse vero, e abbiamo verificato che, dei 27 paesi dell’Unione Europea, 12 hanno adottato la misura del coprifuoco: si stratta, oltre che dell’Italia, di Austria, Belgio, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria. Quindici invece non lo hanno: si tratta di Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Svezia; ad essi si aggiungono, extra UE, Islanda, Liechtenstein, Norvegia. La maggioranza dei paesi europei, dunque, non ha il coprifuoco.

Sgomberato il campo dall’equivoco del mero dato numerico (“il coprifuoco lo hanno tutti, quindi significa che è misura efficace”), siamo volute andare oltre, consce del fatto che la nostra visione del coprifuoco quale strategia insensata, autoritaria e moralistica, molto più che sanitaria, avrebbe potuto determinare un difetto del nostro sguardo, un bias cognitivo, per così dire: abbiamo dunque voluto cercare quali fossero le evidenze scientifiche che riguardano l’efficacia del coprifuoco.

Il primo studio che abbiamo trovato è tedesco (https://www.uni-giessen.de/fbz/fb02/fb/professuren/vwl/goetz/forschung/publikationenordner/arbeitspapiere/Curfews) e valuta le differenze nella crescita dell’incidenza e nel cambiamento di mobilità tra le contee che hanno implementato un coprifuoco notturno durante il periodo di osservazione, e quelli che non lo hanno fatto. Tutti i loro modelli suggeriscono che non ci sono prove di differenze significative nella diffusione della pandemia con l’entrata in vigore dei coprifuoco notturni. Gli autori non hanno trovato prove che i cambiamenti di mobilità differiscano, con il coprifuoco notturno, e non trovano evidenze statisticamente significative che il coprifuoco notturno abbia avuto un impatto sulla diffusione della pandemia.

Uno studio francese mostra che hanno avuto addirittura effetti negativi, incentivando le concentrazioni di persone negli stessi orari

https://www.sciencedirect.com/…/pii/S016344532100044X…

Un lavoro pubblicato recentemente su MedRxiv, quindi non ancora revisionato (peer reviewed), ma presentato dal Corriere della sera come studio a sostegno del coprifuoco, presenta una ricerca condotta da alcune delle maggiori università europee e indica che in 7 paesi europei il coprifuoco notturno sembra avere avuto un effetto moderato, attorno al 13% (la chiusura delle scuole attorno al 7%) ma gli autori specificano che l’effetto stimato non è attribuibile solo al coprifuoco e che non sono stati in grado di separare gli effetti delle singole misure.

In molti paesi stanno discutendo sulle evidenze dell’efficacia del coprifuoco sulla diffusione del virus perché non sono per nulla chiare: https://www.dw.com/…/fact-check-how…/a-57172102

https://www.mcgill.ca/…/covid-19…/do-curfews-work

https://science.thewire.in/…/covid-19-curfew-spread…/

Si tratta di evidenze che rafforzano la convinzione circa l’esistenza di una sorta di frame narrativo all’interno del quale ogni misura coercitiva e costrittiva degli spazi del superfluo abbia efficacia in sé, in quanto colpisce tutto ciò che esula dal perimetro della legittimità morale (la casa, il lavoro) e che diventa pertanto sacrificabile in nome del supremo interesse della salute. Un’osservazione che trova conferma in un recente studio (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0022103120304248?fbclid=IwAR2lFREtgiHFUIZ2Fp8LaC-GPL1KGUzvg-NlcxxnpC3TuLzEh3gLFmFJPGk#bb0295) che mostra come l’approccio moralistico agli sforzi di contenimento del virus basati sulla salute (cioè, per ridurre i decessi e le malattie da Covid-19, o eliminare il virus) ha generato asimmetrie percettive nella valutazione dei costi umani.  Gli autori hanno mostrato che gli sforzi per controllare o eliminare Covid19 siano intrisi di moralità, portando però gli individui ad accettarlo senza alcun indugio, mettendo da parte o trascurando totalmente i potenziali costi collaterali di tali sforzi, che pure esistono e sono dimostrati dall’ampia letteratura disponibile: dal mancato accesso alle cure o agli screening per altre malattie – tradotti in eccesso di mortalità per cause non Covid – a un disagio psicologico e psichico che si diffonde, colpendo con maggior intensità alcune fasce di popolazione, come per esempio i giovani e giovanissimi.

È tempo dunque di uscire da un orizzonte di senso che vede nell’approccio autoritario ed eticamente orientato l’unica possibilità di gestione della crisi pandemica, o peggio che riduce la stessa a una contrapposizione partitica e ideologica. Riaffermare l’essenzialità del superfluo, tornando all’assunto di partenza, significa volersi rifare alla definizione, mai spesso evidenziata quanto meriterebbe, che di salute dà l’Organizzazione Mondiale della Sanità come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”. La vita relazionale, la cultura, l’arte, lo sport, sono cruciali nel concorrere alla piena espressione dello stato di salute così inteso. E soprattutto nel momento in cui un vaccino efficace diventa ampiamente disponibile, i costi umani derivanti dalle strategie di eliminazione del Covid-19, come i “morti per disperazione”, possono superare gli effetti diretti sulla salute del Covid-19, ed è ora che se ne cominci a parlare.



Immagine: Luna Minor, Nostalgia dell'inutile

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Questo blog si occupa dei miei principali interessi, ossia Musica, Filosofia, Scuola, Pedagogia, Psicologia e Impegno civile. L'auspicio è quello di dare un piccolo contributo, attraverso l'arte e la riflessione razionale, alla crescita della coscienza e dell'impegno civile di chi frequenterà il blog. "Il suono dell'anima" è il titolo di un mio libro di filosofia della musica pubblicato nel 2013 dall'editore Aracne
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