sabato 24 agosto 2024

Tra Bias, Gadamer e segni dei tempi

 

Si sente sempre più spesso parlare dei Bias cognitivi. Di costrutti, cioè, causati da percezioni errate della realtà, da cui deriverebbero pregiudizi che ostacolerebbero la corretta comprensione di fatti, cose e Persone.
Il termine, nel suo percorso genetico, ha una storia antica, ma è salito alla ribalta a partire dalla fine del secolo sorso, grazie gli studi dell'economista Vernon Lomax Smith e dello psicologo Daniel Kahneman. In tali lavori, i due scienziati portarono avanti la tesi secondo cui i processi decisionali umani violano sistematicamente la razionalità, lasciandosi fuorviare da fattori irrazionali. I bias, appunto.
Le loro ricerche ebbero molto successo e gli valsero il premio Nobel per l'economia nel 2002.
Tuttavia - e questo è già un indicatore abbastanza importante - dal campo economico, il concetto di Bias è stato via via esteso ad altri ambiti, finendo per essere usato sostanzialmente ovunque si parli del rapporto tra soggetto e costruzione di senso della realtà esterna. Negli ultimi tempi poi - è una mia impressione - esso viene adoperato soprattutto per bollare coloro che, avendo menti fragili, cadono vittime, inconsapevolmente, dei propri pregiudizi, rafforzando visioni errate del Reale, condizionate dalla propria ignoranza, insipienza, creduloneria, ecc.. Via libera, dunque, alla critica feroce, anzi al Blasting - come usa dure - nei confronti di tali ignoranti, webeti, trogloditi, noncielodicono, minus habens e compagnia cantante (si va dal terrapiattista al negazionista di vario tipo - pandemico, climatico - passando per altri epiteti spesso associati a figure caricaturali da bassa politica - meloniano, salviniano, trumpista, putiniano, ecc.).
Ora, siccome chi usa questo concetto - e lo usa nel modo che ho cercato rozzamente di riassumere - si sente spesso appartenente ad una genìa elevata, portatrice di alti valori culturali e sociali, mi permetto - pur succintamente, come si può in un post su facebook - di far notare un aspetto che attiene ad una nobile tradizione cuturale e che, di fatto, smentisce l'uso incontollato che si fa, spesso, del concetto di bias. Mi riferisco all'ermeneutiza filosofica del Novecento e al suo maggiore rappresentante, ossia Hans Georg Gadamer. Questi, in molti suoi studi, ma soprattutto in "Verità e Metodo", del 1960), sottolineò come la visione della realtà sia naturalmente influenzata da forme di pregiudizio. Ciò però non è un fenomeno negativo. Anzi, è necessario. Noi ci accostiamo ad un fatto, ad un testo, ad un'opinione, ecc., con il portato della nostra condizione mentale e culturale di partenza, nonchè di quella del contesto in cui viviamo: e questo perchè la nostra mente non è un tabula rasa. Anche nella scienza, Il pregiudizio che accompagna il ricercatore non è necessariamente un giudizio errato, come sostenevano la maggioranza degli illuministi e prima ancora Bacone. Il pregiudizio è semplicemente una presupposizione, cioè un giudizio previo, la cui legittimità poi - questo sì - dovrà essere messa alla prova e verificata. È normale, dunque, avere pregiudizi. Quando s’incontra una persona per la prima volta o si ha a che fare con un oggetto, una macchina, un testo che risultano sconosciuti, automaticamente scatta nel soggetto un pregiudizio. "Ma se si vuole raggiungere la verità, o quanto meno avvicinarsi il più possibile ad essa, è necessario che il soggetto con i suoi pregiudizi si confronti seriamente con l’oggetto che ha di fronte. La struttura mentale del soggetto è sempre e comunque pregiudiziale".
Diversamente, si resta legati a quell'Adaequatio rei et intellectus dei filosofi medievali da cui i rappresentanti della rivoluzione scientifica si vollero scientemente allontanare.
Attenzione ad usare con troppa faciloneria e supponenza il concetto di bias cognitivo, dunque. Peraltro, e finisco, esso ha un indubbio valore nell'ambito di un approccio cognitivista al comportamento umano; approccio dignitosissimo, ma non l'unico. Approccio che considera poco le dinamiche emozionali (centrali, invece, nel processo conoscitivo per molti altri studiosi di estrazione diversa - centrali anche per me, ad esempio, che nel mio piccolo e nella mia attività di docente, ho sempre pensato che la conoscenza passi prima dalla sfera emotiva e solo dopo approdi al piano cognitivo).

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