domenica 25 agosto 2024

Appunti sul rapporto tra maternità surrogata e liberal-progressismo

 


Vorrei fare un’ulteriore riflessione a proposito delle Cultural Wars sulle identità di genere e su tutto ciò che circonda l’universo Woke e buona parte dell’attuale configurazione del mondo liberal-progressista.
Una riflessione che origina dal convincimento - che non è solo mio, ovviamente (anche se fa parte della mia percezione da anni, come sanno coloro che un minimo seguono le mie esternazioni, qui e altrove) ma che ha solidi studi autorevoli alla base – dal convincimento, dicevo, che la lotta per i diritti civili, sacrosanta nella sua formulazione iniziale e genuina, sia ormai sempre più sganciata da quella per i diritti sociali. Un fenomeno pericoloso, del quale la narrazione dominante, ovviamente, evita di parlare. Ovviamente, perché il messaggio deve essere di altro tipo. Non ci deve essere nulla che induca anche solo minimamente a pensare che dietro battaglie presentate con la patina della correctness si celi una mistificazione del Capitalismo, che ha da anni de-economizzato quelle che un tempo erano realmente le lotte della classi subalterne, sfruttate ed oppresse, per inglobarle all’interno di controversie che – muovendosi prevalentemente su un piano simbolico - soddisfino l’esigenza stessa di lotta di chi si identifica nella ‘sinistra’ e nel progressismo, senza, di fatto, toccare anche solo minimamente i rapporti di forza e le dinamiche di sfruttamento economico e sociale di cui il Capitalismo stesso continua ad essere protagonista indiscusso.
Ora, potremmo fare molti esempi, in tal senso. Ce n’è uno in particolare, tuttavia, che rende perfettamente l’idea, a mio avviso.
Sto parlando della maternità surrogata, altrimenti detta GPA o, più volgarmente, utero in affitto.
Un esempio a mio avviso pertinente di come un presunto diritto alla maternità-paternità di coppie che per motivi vari non possono avere figli (coppie eterosessuali o omosessuali), autorizzi la possibilità di rivolgersi ad una donna che porti avanti una gravidanza per conto terzi, lasciando poi il figlio, dopo il parto, alla coppia di cui sopra. Al di là dell’aspetto giuridico (in Italia ad esempio, la legge non lo consente), che mi interessa poco, per me si tratta di un fenomeno di mercificazione del corpo. Ed è, appunto, un chiaro esempio di come la presunta difesa di un altrettanto presunto diritto (quello alla genitorialità) trovi assolutamente legittimo che ciò avvenga attraverso lo sfruttamento di soggetti subalterni dal punto di vista sociale ed economico. Perché, chiaramente, chi porta avanti una gravidanza per conto terzi lo fa per soldi, non ci prendiamo in giro. E lo fa a beneficio di chi si trova, invece, in una posizione di superiorità sociale ed economica. E non entro, in questa sede, nel complesso gioco di dinamiche relative alla percezione e al sentire di chi sviluppa legami con la creatura che porta in grembo…). E ciò senza preoccuparsi minimamente di rimuovere, invece, gli ostacoli che impediscono a quei soggetti in una condizione di subalternità economico-sociale di uscire da tale condizione. In quel momento, il loro ruolo di semplici incubatrici viene accettato; anzi, considerato quasi un veicolo di redenzione.
Che poi ciò vada nella direzione dell’assecondare sentimenti buoni e puri, quali la maternità, la paternità, la voglia di donare amore ad una nuova vita, non può bastare (come molti pretendono, all’insegna dell’americanissimo “you don’t understand what I fell”, atteggiamento-madre di molte cultural wars) a giustificare quello che resta un abominio etico, se si vuole, e umano.
Sono ben accette critiche costruttive, si intende. Basta che non si ispirino a un semplicistico “ognuno del suo corpo fa ciò che vuole, in fondo c’è gente che si vende un rene” (sì, ho sentito anche questa…).
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sabato 24 agosto 2024

Tra Bias, Gadamer e segni dei tempi

 

Si sente sempre più spesso parlare dei Bias cognitivi. Di costrutti, cioè, causati da percezioni errate della realtà, da cui deriverebbero pregiudizi che ostacolerebbero la corretta comprensione di fatti, cose e Persone.
Il termine, nel suo percorso genetico, ha una storia antica, ma è salito alla ribalta a partire dalla fine del secolo sorso, grazie gli studi dell'economista Vernon Lomax Smith e dello psicologo Daniel Kahneman. In tali lavori, i due scienziati portarono avanti la tesi secondo cui i processi decisionali umani violano sistematicamente la razionalità, lasciandosi fuorviare da fattori irrazionali. I bias, appunto.
Le loro ricerche ebbero molto successo e gli valsero il premio Nobel per l'economia nel 2002.
Tuttavia - e questo è già un indicatore abbastanza importante - dal campo economico, il concetto di Bias è stato via via esteso ad altri ambiti, finendo per essere usato sostanzialmente ovunque si parli del rapporto tra soggetto e costruzione di senso della realtà esterna. Negli ultimi tempi poi - è una mia impressione - esso viene adoperato soprattutto per bollare coloro che, avendo menti fragili, cadono vittime, inconsapevolmente, dei propri pregiudizi, rafforzando visioni errate del Reale, condizionate dalla propria ignoranza, insipienza, creduloneria, ecc.. Via libera, dunque, alla critica feroce, anzi al Blasting - come usa dure - nei confronti di tali ignoranti, webeti, trogloditi, noncielodicono, minus habens e compagnia cantante (si va dal terrapiattista al negazionista di vario tipo - pandemico, climatico - passando per altri epiteti spesso associati a figure caricaturali da bassa politica - meloniano, salviniano, trumpista, putiniano, ecc.).
Ora, siccome chi usa questo concetto - e lo usa nel modo che ho cercato rozzamente di riassumere - si sente spesso appartenente ad una genìa elevata, portatrice di alti valori culturali e sociali, mi permetto - pur succintamente, come si può in un post su facebook - di far notare un aspetto che attiene ad una nobile tradizione cuturale e che, di fatto, smentisce l'uso incontollato che si fa, spesso, del concetto di bias. Mi riferisco all'ermeneutiza filosofica del Novecento e al suo maggiore rappresentante, ossia Hans Georg Gadamer. Questi, in molti suoi studi, ma soprattutto in "Verità e Metodo", del 1960), sottolineò come la visione della realtà sia naturalmente influenzata da forme di pregiudizio. Ciò però non è un fenomeno negativo. Anzi, è necessario. Noi ci accostiamo ad un fatto, ad un testo, ad un'opinione, ecc., con il portato della nostra condizione mentale e culturale di partenza, nonchè di quella del contesto in cui viviamo: e questo perchè la nostra mente non è un tabula rasa. Anche nella scienza, Il pregiudizio che accompagna il ricercatore non è necessariamente un giudizio errato, come sostenevano la maggioranza degli illuministi e prima ancora Bacone. Il pregiudizio è semplicemente una presupposizione, cioè un giudizio previo, la cui legittimità poi - questo sì - dovrà essere messa alla prova e verificata. È normale, dunque, avere pregiudizi. Quando s’incontra una persona per la prima volta o si ha a che fare con un oggetto, una macchina, un testo che risultano sconosciuti, automaticamente scatta nel soggetto un pregiudizio. "Ma se si vuole raggiungere la verità, o quanto meno avvicinarsi il più possibile ad essa, è necessario che il soggetto con i suoi pregiudizi si confronti seriamente con l’oggetto che ha di fronte. La struttura mentale del soggetto è sempre e comunque pregiudiziale".
Diversamente, si resta legati a quell'Adaequatio rei et intellectus dei filosofi medievali da cui i rappresentanti della rivoluzione scientifica si vollero scientemente allontanare.
Attenzione ad usare con troppa faciloneria e supponenza il concetto di bias cognitivo, dunque. Peraltro, e finisco, esso ha un indubbio valore nell'ambito di un approccio cognitivista al comportamento umano; approccio dignitosissimo, ma non l'unico. Approccio che considera poco le dinamiche emozionali (centrali, invece, nel processo conoscitivo per molti altri studiosi di estrazione diversa - centrali anche per me, ad esempio, che nel mio piccolo e nella mia attività di docente, ho sempre pensato che la conoscenza passi prima dalla sfera emotiva e solo dopo approdi al piano cognitivo).

De Benedetto convince nel Requiem di Mozart

  Esistono la volontà, il desiderio, la passione. Tre qualità che hanno spinto Nazzareno De Benedetto a realizzare il suo progetto, superand...